Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, ha un profilo con più di 102 milioni di seguaci sul suo social network: un dato che si aggiunge a un’iper-esposizione mediatica di livello mondiale, acuita da un ruolo da volto pubblico di Facebook costruito negli anni, e dalla sempre più discussa influenza socio-politica della sua piattaforma (ha o non ha contribuito alla diffusione delle famigerate fake news? Ha o non ha influenzato l’esito delle presidenziali americane, addirittura?).
Era da immaginare, dunque, che l’immagine pubblica di Zuckerberg sia soggetto a scrutini molto severi: ma chi poteva pensare che Palo Alto impiegasse una figura full time dedita ad analizzare gli indici di gradimento del fondatore? La notizia è stata diffusa da The Verge, che ha intervistato Tavis McGinn, l’ex sondaggista personale di “Zuck”. McGinn, che era entrato in Facebook lo scorso aprile – e nelle sue intenzioni avrebbe voluto occuparsi di ricerche di mercato – ha raccontato di aver ricevuto un’offerta di lavoro più da campagna elettorale che da marketing di una grande azienda: “Il mio lavoro era condurre rilevamenti e focus group a livello globale per capire perché alle persone piace Mark Zuckerberg, se pensano di potersi fidare di lui, o almeno se ne hanno mai sentito parlare. Cosa specialmente importante al di fuori degli Stati Uniti”.
Le mansioni del sondaggista potevano assumere vesti anche molto concrete: se Zuckerberg fa un barbecue in giardino e trasmette in diretta l’attività, come risponde in termini di gradimento il suo pubblico? McGinn era chiamato a trovare la risposta. Anche se spesso si trattava di questioni molto più serie: se Mark parla di copertura sanitaria globale o di immigrazione in un’intervista, l’opinione pubblica è con lui? In questo contesto, è difficile non ripensare a uno dei rumor più chiacchierati dell’ultimo biennio, ovvero la possibilità che il ceo di Facebook voglia candidarsi alle presidenziali americane del 2020.
Quello di Facebook non è un unicum: altre grandi realtà del business monitorano l’approvazione pubblica dei loro vertici (Uber, ricorda The Verge, ha usato dati di questo tipo per persuadere a dimettersi il suo ex ad Travis Kalanick). McGinn, ad ogni modo, ha deciso di lasciare Palo Alto dopo soli sei mesi: dice di aver provato a cambiare dall’interno “il modo in cui la compagnia faceva business”, migliorandone “i valori” e “la cultura”, ma spiega di non esserci riuscito e di aver capito di stare dedicandosi a “una perdita di tempo”.
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