Ogni anno, all’inizio di maggio, il Metropolitan Museum di New York inaugura la mostra annuale dedicata alla moda. Quest’anno il tema dell’esposizione, curata come sempre da Andrew Bolton, direttore del Costume Institute del Met, è il rapporto fra moda e iconografia cattolica, un tema che abbraccia tanto la storia del costume che la cultura visiva del mondo occidentale. Un impegno notevole, e in tanti sensi. Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination (Corpi Divini: la moda e l’immaginario cattolico) sarà visitabile dal 10 maggio all’8 ottobre, ed è la mostra sulla moda più ampia mai realizzata dal Metropolitan Museum, per il numero di oggetti e capi presentati – 150 quelli prestati dalle maison e dalla sagrestia della cappella Sistina, alcuni mai visti prima – e per lo sforzo organizzativo: Bolton aveva iniziato già diversi anni fa l’opera di convincimento dell’arcivescovo Georg Gänswein (già braccio destro di Benedetto XVI e ora prefetto della Casa Pontificia).
Anni di consultazioni che sono culminate nell’annuncio della mostra, circa un anno fa, in una conferenza stampa congiunta di Anne Wintour, editor in chief di Vogue US e presidente dell’evento Met Gala, e del cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il “Diavolo” e l’Acqua Santa, o forse no, perché le cose sono sempre più complicate di ciò che sembra.
Come ha scritto Bolton stesso sul sito del Met, tutto è cominciato nel 2005 con un titolo di Newsweek che riecheggiava il celeberrimo romanzo e poi film Il Diavolo veste Prada (ispirato appunto alla temibile Anne Wintour): l’articolo The Pope Wears Prada descriveva le inclinazioni sartoriali di Benedetto XVI, e ne sanciva il ruolo di icona della moda a partire dall’immagine dei famosi mocassini rossi realizzati dal calzolaio novarese Adriano Stefanelli.
La grande visibilità che hanno sui media immagini come questa solleva considerazioni sul ruolo del vestiario all’interno della Chiesa cattolica, e anche sul ruolo svolto da quest’ultima nell’immaginario della moda. Secondo Bolton, questa è la base per la mostra Heavenly Bodies, che presenta creazioni di designer cresciuti nella tradizione cattolica. Molti di loro non praticano più il cattolicesimo ma ne riconoscono tuttavia la forte influenza sulla propria arte: Versace (fra gli sponsor della mostra), Dolce e Gabbana, Gaultier, Galliano, gli storici Balenciaga e Schiaparelli o anche gli anglosassoni come Alexander McQueen hanno rivelato questa influenza nell’uso evidente del simbolismo cristiano nei loro capi, già negli elementi decorativi come la croce e la corona di spine. Un rapporto, quello fra creatori di moda e cattolicesimo, che, prendendo a prestito un popolare status di Facebook, si potrebbe definire “una relazione complicata”, ma che ha ispirato molte creazioni originali e innovative.
La moda però è anche seduzione, glamour e spettacolo: non a caso all’annuale inaugurazione si accompagna da oltre 20 anni l’evento mondano più sfarzoso del Met, la raccolta fondi a favore dell’istituzione museale, nota più semplicemente come Met Ball o Met Gala. Dall’inizio della collaborazione con Vogue nel ’95 ad oggi l’evento si è via via trasformato in una passerella di celebrity in modalità “overdressed”: le stesse celebrità che su altri red carpet – magari europei e magari più “intello” (Cannes, per esempio) – scelgono look più misurati hanno trasformato, negli anni, il Met Gala in una fiera che vive di vita propria al di là dei temi delle mostre alle quali in teoria si ispira. Il vertice del Galà del 7 maggio è stato probabilmente l’abito da papessa di Rihanna, disegnato da John Galliano per Margiela e tempestato di perle, pietre e fili d’argento, ma si sono viste anche diverse aureole e ali d’angelo: come quelle, enormi, indossate da Katy Perry sull’abito Versace.
Abiti eccessivi e traboccanti di decorazioni, ricami, riflessi metallici, cristalli, strascichi e volants che mettono in luce, involontariamente, un altro punto in comune fra moda secolare – di altissima gamma – e i paramenti sacri: la grande abilità artigianale e manifatturiera che ne è alla base, abilità attraverso la quale, forse, passa la ricerca della perfezione, mondana o spirituale che sia.
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