“Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”. Era il 2009 e l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa coniò questo termine per indicare una generazione di giovani secondo lui troppo pigra e legata alle famiglie di origine. Sono passati nove anni e sembra che nel frattempo poco sia cambiato, almeno a giudicare dai più recenti dati diffusi da Eurostat. L’istituto di statistica continentale ha messo in evidenza come il 60 per cento dei giovani disoccupati italiani non sia disposto a trasferirsi altrove per lavorare, contro una media Ue del 50 per cento. Inoltre, il 98 per cento avrebbe trovato occupazione senza bisogno di cambiare residenza: la media europea è del 90 per cento. Insomma, i bamboccioni non sono scomparsi nonostante siano in aumento i ragazzi che dal sud si trasferiscono al nord per trovare nuove opportunità.
A fronte di questa “pigrizia” ci sarebbe un altro dato preoccupante: sempre secondo Eurostat, l’Italia è penultima nell’Unione europea per numero di laureati. Solo un cittadino su sei prosegue gli studi. Tra i 25 e i 34 anni risulta laureato il 26,4 per cento delle persone (contro il 38,8 per cento della media Ue). Insomma, a giudicare da questa fotografia i giovani non vogliono cambiare città ma neanche passare il tempo sui libri. Anche se occorre guardare questi dati con più attenzione, come spiega Francesco Daveri, docente di Politica economica all’università Bocconi di Milano.
Secondo Eurostat il 60 per cento dei giovani italiani non è disposto a traslocare per cercare lavoro. È una fotografia reale del Paese?
Il dato è fortemente influenzato dalle caratteristiche della disoccupazione italiana, che è concentrata in modo sproporzionato in una parte del Paese. Al nord i ragazzi sono più ottimisti e dunque meno favorevoli all’idea di spostarsi. Per questo viene fuori un dato medio complessivo molto elevato, che però riguarda in particolare una parte dell’Italia.
Quindi al sud c’è più proponesione ad andar via?
È evidente come una parte dei giovani meridionali si stia spostando verso le regioni del nord. Anche se c’è un’altra parte che invece resta a casa senza lavorare né studiare.
Ma quindi da quel lontano 2009, l’anno dei bamboccioni, nulla è cambiato?
Le condizioni di allora sono ancora in larga parte presenti. Anche se l’entità non è così gigantesca. I bamboccioni ci sono, ma non rappresentano il 60 per cento dei giovani italiani.
Chi sono questi bamboccioni contemporanei?
Sono ragazzi che non ritengono di doversi spostare perché il mercato del lavoro a casa loro è positivo. E questo avviene prevalentemente al nord. Ma anche giovani pessimisti, convinti di non avere sufficienti competenze per trovare occupazione lontano da casa. O che ritengono il trasloco troppo oneroso dal punto di vista economico. Chi non ha una famiglia solida alle spalle fa fatica ad andare altrove per cercare lavoro. E senza garanzie chiedere un prestito in banca è inutile.
Da cosa dipende l’assenza di competenze?
Da una debolezza sistematica del nostro sistema scolastico e universitario, ancora troppo scollato dal mondo del lavoro e non sempre in grado di fornire ai giovani le abilità necessarie per essere competitivi. Ecco perché parlare solo di “bamboccioni” rischia di essere riduttivo.
Eurostat ha messo in evidenza come l’Italia sia penultima nell’Ue per numero di laureati. La disoccupazione giovanile dipende anche da questo?
Si tratta di un dato negativo e molto preoccupante, anche se in realtà il nostro mercato del lavoro è un po’ diverso da quello di altri Paesi. In Italia ci sono migliaia di piccole imprese che non vogliono laureati, ma tecnici con molta esperienza, e spesso fanno fatica a trovarli. Resta il fatto che avere un numero adeguato di laureati sarebbe decisivo per modernizzare il Paese, per rendere le aziende attrattive per gli investitori, e quindi per crescere e produrre di più.
E in effetti recentemente sempre Eurostat ha messo in evidenza come solo il 58 per cento dei giovani italiani trova un lavoro entro tre anni dalla laurea…
Questa è la diretta conseguenza della domanda da parte delle imprese, più interessate ai tecnici che ai laureati. Ma anche da una scelta delle facoltà da frequentare non sempre ponderata.
Cosa sarebbe meglio studiare, oggi, per lavorare immediatamente?
Certamente Ingegneria ed Economia, che offrono sia competenze tecniche sia attitudine alla flessibilità. E poi Filosofia, che insegna a pensare in modo diverso. E questo per le aziende può essere un valore aggiunto.
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