Un concerto che salta non è un flop, se non hai una carriera musicale. E tutti a chiedersi perché mai Young Signorino, il fenomeno virale del momento su YouTube, candidato ideale a personaggio che ci piace odiare, non s’è presentato al Monk di Roma. C’è chi dice un collasso da rockstar; chi che ha fatto tardi perché ha preferito sedersi con gli occhiali da sole da beccamorto nello studio di Matrix (durante l’intervista con Chiambretti cercava il wifi, e non sa, perché è troppo giovane, che certi numeri li ha già fatti prima e meglio Sgarbi con la D’Urso: “Vittorio, ma che fai al cellulare?”/”Ma ti fai i cazzi tuoi?”); chi che è tutta una strategia di marketing tipo Andy Warhol; e lui risolveva il mistero scusandosi su Instagram coi 400 tapini che si son fatti rimborsare il biglietto (si immagina che la metà fossero giornalisti musicali lì per una sorta di ricerca sociologica), scrivendo solo: “Gli organizzatori mi hanno causato danni psicologici”.
Peggio di criticare i fenomeni senza capirli è difenderli senza capirli. C’è riuscita Francesca Barra, che proprio a Matrix ha fatto la parte della madre interessata e attenta che spiegava i fenomeni complessi ai figli e al pubblico, definendo Young Signorino “l’artista migliore della sua generazione”. Nientemeno. Leggenda vuole che il cesenate diciannovenne Paolo Caputo, uscito dal coma farmacologico autoindotto, sia diventato Young Signorino. A quel punto Signorino si accorge di aver bisogno di un pubblico: prende i cliché della trap, un sottogenere dell’hip hop che va di moda da qualche anno (dagli eroinomani di Atlanta è arrivata fino al Biondo di Amici) e ne fa una parodia, un po’ come Psy ha fatto con il K-Pop o Bello Figo ha fatto con il rap impegnato. Fino a quando si limitava a pubblicare su YouTube canzoncine monotone tutte sulla droga (Borotalco, Erba nelle Airmax), sullo stile (Soldi e Mocassini, Lapo Elkann), sull’ethos (Stressato, Sono pazzo, No Sense Signorino) interessava poca gente, e funzionava per farsi insultare da una nicchia che gli diceva “ma fai il serio”, o “perdi tempo, ti fai solo prendere in giro”.
Poi capisce che per trollare serve metterci la faccia. Inizia ad apparire nei video musicali e ad avere successo: attrae curiosi e hater, dimostrando che non è un fenomeno musicale ma un fenomeno visivo. Si veste da gioppino omosessuale senza esserlo, tra un modello Gucci e un commesso che si crede Chiara Ferragni (c’è un video, Dolce Droga, in cui indossa un chest harness, una di quelle cose che si infilavano negli anni ’70 i gay fissati con la pelle), gli unici tatuaggi che ha sono tutti in faccia, la base musicale è una tipica base trap (ammesso conti qualcosa farne un discorso estetico-musicale), l’uso massiccio delle onomatopee o versi (senza frasi di senso compiuto), gli abiti che ricordano quelli delle sfilate. Young Signorino prende la forma e toglie il contenuto pur di ottenere la nostra attenzione.
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Il video Mmh ha ha ha raggiunge 14 milioni di visualizzazioni: facendo incazzare gli estimatori della trap perché ne fa una carnevalata, facendo incazzare tutti gli altri, che lo collocano generosamente tra i disagi giovanili o i pirla con successo immeritato. Chiambretti, con la cattiveria che lo contraddistingue, lo ha fatto sedere a fianco a Orietta Berti, dicendole che lui ha le stesse visualizzazioni di quanti dischi ha venduto lei (Orietta non è stata altrettanto vipera da schiacciarla replicando: “Sì, ma io mi ci sono comprata degli immobili”; ha solo detto “stavi meglio con quel look là, che conciato così”, riferendosi alla foto del rapper di un anno prima). Poi è entrata Francesca Barra a dire che andava valutato come un artista di rottura, un provocatore, un grande artista (minacciata e insultata da tredicenni arrabbiatissimi). Ha detto di essere rimasta affascinata dalla “bella fotografia” del video, una frase che somiglia troppo a quella standard di chi non capisce niente di cinema (e “una bella colonna sonora”, no?). Voleva solo sembrare cool, ed è finita come quei padri che si abbandonano a balli sincopati mettendo in imbarazzo i figli.
Abbiamo tutti iniziato a scrivere di Young Signorino per non rimanere indietro coi fenomeni di costume, e a dire che ci sembra un fenomeno da baraccone (e ci mancherebbe altro: abbiamo superato l’età in cui un’intera generazione passava le domeniche pomeriggio a ballare l’hardcore importando una sottocultura tedesca fatta di buffalo, droghe e 130 bpm). I giovani sono intellettualmente deludenti: è per questo che sono giovani (ci sono le eccezioni, tipo Mozart: ma Mozart non ha mai fatto urlare masse di ragazzine quanto Justin Bieber). Young Signorino è la musica che ci piace deridere: troppo immaturo per piacerci, troppo poco spendibile socialmente nelle nostre bolle, nessun particolare talento da difendere. Eppure i suoi jingle non sono una grave minaccia per la musica italiana (come non lo è tutta la spazzatura culturale che di solito non raccogliamo), o comunque non più di quanto lo è la nostra smania di sentirci attratti da quel che è giovane e nuovo, rimanendo sempre dietro a un vetro di sicurezza.
In fondo, dice molto di più l’accanimento con il quale sosteniamo che Young Signorino sia un bluff o un genio, molto più di quanto non sia in grado di farlo lui con i suoi video anti-meme (è l’opposto di Rovazzi: un contenitore senza contenuti). Quanto sono fragili le nostre certezze culturali, se è bastata un’onomatopea a sconvolgerle?
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