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Marchionne raccontato da Marchionne: 10 lezioni sulla leadership dal manager italiano più grande

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Sergio Marchionne

Sergio Marchionne è stato l’uomo che ha rifatto grande Fiat ma è stato anche l’unico italiano in anni recenti il cui pensiero è stato studiato al pari di quello dei grandi guru americani della strategia aziendale e del management, tanto da essere protagonista di numerosi libri che hanno cercato di sintetizzare il modello Marchionne (da questi volumi sono tratte le citazioni presenti nell’articolo). Ora che l’era del manager in Fiat Chrysler si chiude, con Mike Manley nuovo ceo del gruppo, le parole di Marchionne sono la guida migliore per comprendere la portata rivoluzionaria del suo pensiero per Fiat e probabilmente per una parte del Paese.

L’era Marchionne si apre nel 2004 quando viene indicato come ceo di Fiat, sull’orlo del fallimento, a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli.

Al suo esordio Marchionne non lascia trasparire dubbi: “Fiat ce la farà; il concetto di squadra è la base su cui creerò la nuova organizzazione; prometto che lavorerò duro, senza polemiche e interessi politici”. «Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui”, disse qualche anno più tardi, “giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?”.

Le doti di negoziatore del manager italo-canadese emergono con tutta la loro forza con la rottura dell’alleanza con General Motors. Un capolavoro: per far sì che gli Agnelli rinunciassero all’esercizio della put option che avrebbe permesso la vendita del gruppo a Gm, la casa americana arrivò a sborsare 1,55 miliardi. Quelli di cui Fiat in quel momento ancora non facile aveva proprio bisogno. Spiegando la sua strategia al tavolo dei negoziati Marchionne disse più avanti: “Quando uno si alza, il contegno è molto importante. Bisogna alzarsi dal tavolo facendo valere il punto, ma lasciando capire che alla fine ti risiederai. Ti devi alzare calmo, anche se sei incavolato”.

Nel 2005 arriva anche l’accordo con le banche sul convertendo da 3 miliardi di euro e il lancio della Grande Punto. E proprio nel 2005 il gruppo registra, per la prima volta dopo cinque anni, un utile. Ma per Marchionne non poteva essere sufficiente: “Non possiamo mai dire: le cose vanno bene. Semmai: le cose non vanno male. Dobbiamo essere paranoici. Il percorso è difficilissimo. Siamo dei sopravvissuti e l’onore dei sopravvissuti è sopravvivere”.

Leggi anche: Marchionne e l’intervista a Forbes del 2011: “Sì, sono un maniaco del lavoro”

Con la crisi del 2008, mentre tutto il mondo dell’auto brancola nel buio, Marchionne capisce che è il momento giusto per aumentare la scala del gruppo. Nel 2009 conquista così il 20% del capitale di Chrysler (fallita un anno prima), quota che salirà al 53,5% nel 2011 e al 100% nel 2014 grazie a una serie di accordi che Marchionne stringe in prima persona con i sindacati dei lavoratori e con il governo americano.

In mezzo la parentesi del tentativo di scalata anche a Opel bloccato dal governo dal governo tedesco e dall’ostilità di General Motors che deteneva la maggioranza della casa automobilistica. Per arrivare ad altre operazioni di successo come la quotazione in Borsa di Ferrari e Cnh. “In tutta sincerità”, disse, “non riesco a vedere un mio futuro dopo la Fiat. Non è la prima azienda che ho risanato, ma è senza dubbio quella che credo mi stia permettendo di esercitare tutte le mie capacità. Temo di non avere dentro di me l’energia per un altro ciclo di questa intensità”. Un risanamento che – secondo calcoli del Sole 24 Ore – per gli azionisti di Fiat all’inizio dell’era Marchionne è equivalso a una rivalutazione delle azioni del 1.000%.

Le frasi di Marchionne su leadership e management

La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste.

I leader, i grandi leader, sono persone che hanno una capacità fenomenale di disegnare e ridisegnare relazioni di collaborazione creativa all’interno dei loro team.

Siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa fate duri una vita intera o perfino più a lungo.

Il diritto a guidare l’azienda è un privilegio e come tale è concesso soltanto a coloro che hanno dimostrato o dimostrano il potenziale a essere leader e che producono risultati concreti di prestazioni di business

Il carisma non è tutto. Come la bellezza nelle donne: alla lunga non basta.

Quello che ho imparato da tutte le esperienze di amministratore delegato negli ultimi dieci anni è che la cultura aziendale non è solo un elemento della partita, ma è la partita stessa. Le organizzazioni, in sintesi, non sono null’altro che l’insieme della volontà collettiva e delle aspirazioni delle persone coinvolte. 

Se ho un metodo è un metodo che si ispira a una flessibilità bestiale con una sola caratteristica destinata alla concorrenza: essere disegnato per rispondere alle esigenze del mercato. Se viene meno a questa regola è un metodo che non vale un tubo.

Non credo assolutamente alla regola che più sono giovani più sono bravi. Anzi. Sono per il riconoscimento delle capacità delle persone, che abbiano trenta o sessant’anni.

Ai miei collaboratori, al gruppo di ragazzi che sta rilanciando la Fiat, raccomando sempre di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti. E magari arriveranno prima di noi.

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