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Ma quale “sconfitto con onore”: John McCain era un vincente

John McCain ad Annapolis, Maryland, a ottobre del 2017.

La legge dello Stato dell’Arizona stabilisce che, quando uno dei due senatori del Grand Canyon State venga a mancare durante il proprio mandato, il governatore dello Stato nomini un Senatore ad interim, appartenente allo stesso partito, fino alla prima scadenza elettorale utile. Il seggio che John McCain ha appena lasciato vacante verrà quindi riassegnato in questo modo sino alle elezioni del novembre 2020, per poi eleggere democraticamente un senatore, che comunque rimarrà in carica solo fino a quella che sarebbe stata la scadenza naturale dell’ultimo mandato di McCain, cioè novembre del 2022.

Lui, McCain, invece non aveva mai beneficiato di alcuna comoda cooptazione: il suo posto al Congresso se lo era sempre guadagnato sul campo. Nel 1987, si sente spesso dire, aveva “ereditato” il seggio al Senato dal mitico Barry Goldwater, il conservatore antistatalista uscito sconfitto dalle presidenziali del 1964 contro Lyndon Johnson, ma che aveva seminato il germe di quella rivoluzione reaganiana alla quale McCain aveva nel suo piccolo preso parte con la prima elezione alla Camera, nel 1982 (fresco di trasferimento in quell’Arizona che diventerà il “suo” Stato). Ma Goldwater non era venuto a mancare: era semplicemente andato in pensione dopo aver terminato il mandato, lasciando libero un seggio da contendere alle urne.

In queste ore in cui l’America e tutti i media occidentali si uniscono nel rendere omaggio all’eroe di guerra che sabato sera ha perso la sua ultima battaglia, quella contro il cancro al cervello (lo stesso presidente Trump, dopo aver inizialmente limitato al minimo sindacale la bandiera a mezz’asta sulla Casa Bianca – incattivito dalla profonda inimicizia che aveva diviso i due – ha poi ceduto ad un raro dietrofront proclamando ieri sera il ripristino del segno di rispetto sino ai funerali di McCain), può sembrare superfluo rivangare questi dettagli. Ma la questione è fondamentale: McCain è stato un grande “solo” perché ha saputo essere grande nella sconfitta (o meglio, perché ha saputo rinunciare alla vittoria pur di non cedere al “gioco sporco”) oppure ha saputo essere anche un vincitore? Stiamo parlando di un uomo politico: sarebbe assurdo misurarne la grandezza solo sullo stile e sulla moralità dimostrati nel perdere le elezioni.

Forse quando nel 2015 l’allora aspirante candidato Donald Trump dichiarò di non considerare McCain un eroe di guerra perché “si fece catturare, mentre a me piacciono quelli che non si fanno catturare”, stava facendo qualcosa di più che dare in pasto ai propri simpatizzanti uno slogan per smarcarsi da un detrattore autorevole. Trump stava lanciando una candidatura presidenziale basata su regole molto diverse da quelle tradizionali: tra l’altro, sulla convinzione che “there is no bad publicity”, che la buona reputazione è molto sopravvalutata e che per conquistare la prima fila serve spararle grosse, senza troppe remore, ben più che dar prova di signorilità. In buona sostanza, volete un candidato che sappia dimostrare onore, virtù, rettitudine, coerenza, ma poi alla fine esca onorevolmente trombato (come accadde a McCain nel 2008 contro Obama), o preferite uno che se ne frega di questi fronzoli ma che, anche per questo, sa portare a casa la sospirata vittoria? Quell’interrogativo, a distanza di tre anni, ancora aleggia, persino dalle nostre parti:

 

E allora forse è giusto ricordare anche questo: che no, John McCain non è stato “uno che le elezioni le perdeva”. È stato, innanzitutto, uno che è riuscito a farsi eleggere al Congresso ininterrottamente per trentacinque anni, dal 1982 al 2017, una volta alla Camera e ben sei volte consecutive al Senato. L’Arizona non è il Mississippi, né l’Alabama, né il South Carolina: è uno Stato che nemmeno negli anni recenti di “marea rossa” compare fra i primi dieci – ma neanche fra i primi venti – nelle classifiche degli stati ideologicamente più conservatori. Ed è, inoltre, uno Stato nel quale circa un terzo degli elettori registrati per votare non sono affiliati né al Partito repubblicano né a quello Democratico. Si tratta, insomma, di uno Stato nel quale l’elezione per un candidato repubblicano non è affatto scontata: va conquistata realmente, ogni volta. Tant’è che l’altro seggio senatoriale dello Stato, quando McCain subentrò a Goldwater, era saldamente detenuto da un Democratico, l’avvocato italoamericano Dennis DeConcini.

Particolarmente degna di nota è soprattutto la rielezione di McCain nel 2010, quando venne sfidato alle primarie da un popolare conduttore di talk show radiofonici sostenuto dal movimento populista dei Tea Party, che in quel periodo sembrava essere la realtà più vincente nella destra americana. Allora 74enne e reduce dalla sconfitta alle presidenziali, McCain riuscì comunque a non farsi strappare la candidatura, e venne rieletto con ampio margine.

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