Dal 21 novembre e fino al 14 aprile Milano ospita al Mudec “The Art of Banksy. A visual protest”, la prima mostra monografica dello street artist organizzata in un museo italiano. Noi di Forbes Italia l’abbiamo visitata in anteprima.
Pur non essendo una esibizione autorizzata da Banksy, – come recita il manifesto – gli organizzatori hanno rispettato il principio della libera fruizione delle opere dell’artista e quindi hanno deciso di non portare in scena lavori sottratti da spazi open air ma solo opere provenienti da collezionisti privati. In un percorso composto da circa ottanta dipinti, sculture e stampe – con a corredo oggetti, fotografie e video – si racconta il pensiero di Banksy e il suo messaggio che prende le forme dell’esplicita, forte e diretta provocazione nei confronti dell’establishment, del conformismo, della guerra, del potere in genere e del consumismo. Questo senso di protesta, che emerge chiaramente nelle sue opere, non ha comunque impedito a Banksy di essere l’artista più global del momento, con quotazioni ultra milionarie, e di entrare a far parte di collezioni private appartenenti a quell’establishment da lui stesso contestato.
Un particolare aspetto, tutt’altro secondario per capire chi è davvero Banksy, è esplorare la relazione con la geografia e il paesaggio, elementi che nell’artista si connotano fortemente di tratti sociali. Si spiega così la scelta dell’artista di esprimersi spesso in zone di conflitto come il confine israeliano-palestinese o in aree suburbane problematiche. Alcune opere di Banksy nascono semplicemente in funzione della location in cui sono realizzate. La mostra illustra anche i movimenti che hanno utilizzato la forma di protesta visiva: dal movimento situazionista degli anni ’50 e ’60, con il quale Banksy condivide l’attitudine sperimentale e l’attenzione sulle realtà urbane, alle forme di comunicazione ideate e praticate dall’Atelier Populaire, il collettivo di studenti che nel maggio del 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta sui muri di Parigi; fino ad arrivare ai lavori dei writers e dei graffitisti di New York degli anni ’70 e ’80, multiculturali e illegali per vocazione.
Come gli street artist della sua generazione, Banksy accentua il contenuto dei messaggi politici e sociali rendendolo, con il suo genio creativo, immediato e con una interpretazione forte e univoca. Le opere presentate in mostra, suddivise per generi e temi, illustrano le diverse forme di arte esplorate dall’artista nato a Bristol. Così si passa da quelle della serialità e della riproducibilità dei lavori ispirati da Andy Warhol – tra i quali spiccano i ritratti di Kate Moss o le serie Tesco in cui Banksy utilizza il marchio della grande catena di distribuzione britannica come il genio della Pop Art aveva fatto con la latta della Campbell’s Soup – a quella del détournement in cui Banksy interviene su copie di opere universalmente conosciute inserendo elementi che ne modificano il significato.
A Milano e agli organizzatori va riconosciuto il merito di aver portato a Milano il genio di Banksy e con lui la street art che oramai è entrata a far parte a pieno titolo dell’arte contemporanea. L’interrogativo che rimane è se Banksy, come fatto in occasione di altri eventi simili, scenderà in campo sul suo account Instagram per contestare questa mostra: per lui l’arte deve essere sempre a libero accesso.
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