
Fino al 25 gennaio 2026 la Fondazione Palazzo Strozzi e la Fondazione Hillary Merkus Recordati portano a Firenze The Message, una monumentale installazione site-specific di Kaws, tra le figure più influenti della cultura contemporanea e idolo delle nuove generazioni in tutto il mondo.
Nato nel 1974 nel New Jersey come Brian Donnelly, Kaws ha fatto della cultura pop-grafica e del design la propria cifra visiva, combinando arte alta e linguaggi della quotidianità. Le sue creazioni – dai personaggi dai grandi occhi a “X” agli art toy diventati oggetti di culto – hanno conquistato musei e collezionisti globali. Tra le sue principali esposizioni figurano il Brooklyn Museum di New York, l’Art Gallery of Ontario di Toronto, l’High Museum of Art di Atlanta, il San Francisco Museum of Modern Art (Sfmoma) e il The Andy Warhol Museum di Pittsburgh, che gli ha dedicato la mostra Kaws + Warhol. Parallelamente, l’artista ha dato vita a collaborazioni iconiche con brand come Uniqlo, Nike/Air Jordan, Bape, Dior e Comme des Garçons, diventando un ponte tra arte, moda e cultura pop.
Collocata nel cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi, l’opera crea un inedito cortocircuito iconografico e simbolico, dialogando con la grande mostra dedicata a Beato Angelico, allestita negli stessi mesi. Curata da Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, The Message rilegge in chiave attuale il tema dell’Annunciazione: i protagonisti sono due tra i personaggi più noti di Kaws, Bff e Companion, entrambi ritratti mentre sollevano uno smartphone – oggetto ormai ‘sacro’ della nostra epoca iperconnessa. Attraverso queste figure pop e riconoscibili, l’artista esplora questioni universali come vulnerabilità, attesa, comunicazione e relazione umana.
Dopo Beato Angelico, Leonardo da Vinci e Botticelli – maestri del Rinascimento che hanno rappresentato il tema dell’annuncio divino – Kaws propone una reinterpretazione contemporanea del ‘trasferimento di un messaggio’, traslando il sacro nell’orizzonte digitale. Con The Message, trasforma il cortile di Palazzo Strozzi in uno spazio di riflessione pubblica, aperto e condiviso, parte del programma Palazzo Strozzi Future Art, che invita artisti internazionali a confrontarsi con la storia e l’architettura rinascimentale.
Grazie alla sua accessibilità e al suo forte impatto visivo, l’installazione amplifica l’incontro con un pubblico eterogeneo per età e provenienza, ribadendo la vocazione inclusiva della Fondazione.
Da cosa ha tratto ispirazione per questa sua nuova opera? Firenze ha avuto un’influenza?
Quando Arturo Galansino mi ha invitato a realizzare questa installazione, mi ha detto che sarebbe stata in corso anche la mostra su Beato Angelico. Era interessato a un possibile dialogo tra i due progetti. Ho iniziato così a riflettere sul modo in cui un’opera d’arte, quando viene creata, continua a esistere nel tempo per essere vissuta e reinterpretata. Con The Message ho voluto proporre una versione contemporanea della comunicazione, un annuncio declinato nel nostro presente.
Lei lavora sull’intersezione tra cultura pop e arte. Qual è lo stato dell’arte oggi?
Per me è soprattutto un’esplorazione personale. Lavoro con i linguaggi che mi appartengono, quelli con cui sono cresciuto e che mi hanno avvicinato all’arte. Cerco di creare opere che possano diffondersi su piani diversi: amo l’idea che qualcuno possa vivere un’esperienza estetica davanti a una grande scultura, ma anche portare nelle proprie case un oggetto con cui instaurare una relazione intima. L’arte non deve essere chiusa in categorie o gerarchie.
Lei lavora in Asia, Europa e Stati Uniti. Ci sono differenze tra i suoi collezionisti in questi continenti?
Le persone sono persone, ovunque. Ognuno costruisce un legame emotivo con ciò che ama. Io cerco di creare connessioni umane, che vadano oltre le barriere geografiche o culturali. L’arte deve parlare in modo universale.
Qual è il messaggio che desidera lasciare ai visitatori della sua opera?
Non mi interessa imporre un significato. La mia opera è un invito a osservare e a domandarsi cosa abbiamo di fronte, da dove viene un messaggio e cosa vuole dire. Ogni interpretazione appartiene allo spettatore. The Message è una conversazione aperta.
Come mai la scelta di Kaws?
Oggi Palazzo Strozzi ospita una delle più importanti mostre mai realizzate sul Rinascimento, quella di Beato Angelico, che sta avendo veramente riscontri globali incredibili. Certo, è una mostra che si rivolge a un pubblico più colto, un po’ più in là con gli anni rispetto alle mostre d’arte contemporanea: il Rinascimento attrae meno i giovani, se non quelli che vengono con le scuole. Palazzo Strozzi in questi anni si è distinto proprio per rendere l’arte accessibile a tutti i pubblici e a tutte le generazioni, con una grandissima preponderanza di pubblico giovane. Quindi questa installazione vuole parlare alle giovani generazioni per far loro capire come uno dei loro idoli si possa ispirare al linguaggio rinascimentale per renderlo attuale.
Spesso si ha la sensazione che in Italia siamo indietro sull’attrattività dell’arte per i giovani.
Il rapporto tra giovani e musei è un discorso complesso. A Palazzo Strozzi siamo riusciti a fare un miracolo perché il 50% del nostro pubblico è sotto i 30 anni, ciò è una cosa straordinaria.
Lo avete fatto avvicinandovi voi ai giovani?
Sì, sia con il prodotto culturale che mostriamo, sia con il modo in cui comunichiamo le nostre mostre. I giovani oggi sono probabilmente più portati verso un linguaggio moderno e contemporaneo rispetto all’arte antica. La nostra scommessa è proprio quella di aprire gli occhi verso la qualità del Rinascimento, anche attraverso questi generi di contaminazioni tra epoche diverse. Kaws lo ha dimostrato molto bene. Forse ci sarà qualche snob che vede queste operazioni in modo negativo. Per noi, invece, è un modo di aprire il palazzo davvero a tutti i pubblici. Noi vogliamo avere sempre qualcosa di accessibile a tutti senza il pagamento di un biglietto – per quanto siamo un’istituzione privata e quindi i biglietti ci fanno più che comodo – però ecco, questa è la scommessa per il futuro dei musei. A Firenze siamo fortunati perché abbiamo chiaramente dei pesi massimi – gli Uffizi, ad esempio – in grado di attrarre turismo. Noi siamo completamente fuori dal turismo di massa. Il nostro pubblico o è gente che viene appositamente per vedere una determinata mostra, o persone che sono attirate dall’installazione ospitata nel cortile. Siamo felici di essere fuori dalle rotte classiche, perché è proprio ciò che può portare un valore aggiunto al lavoro dei musei.
Questo articolo è stato notarizzato in blockchain da Notarify.




