Le sue opere sono state esposte in tutti le principali città del mondo e le sue cancellature lo hanno reso indelebile nella mente di ogni amante dell’arte consacrandolo tra i grandi maestri dell’arte italiana insieme, solo per citarne alcuni, a Lucio Fontana e Piero Manzoni. Lui è Emilio Isgrò, nato nel 1937 a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina. Da questo piccolo centro siciliano, Isgrò di strada ne ha fatta davvero tanta ed è oggi considerato il maggiore artista italiano vivente. E’ cosi arrivato ad esporre in alcuni dei principali luoghi d’arte al mondo tra cui le Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo a Milano, il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli, il Museo Novecento di Firenze, The Annual Avantgarde Festival, a New York, La Biennale di Venezia e ancora L’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo e il Centre Georges Pompidou di Parigi. Inoltre, è entrato in prestigiose collezioni private tra cui quella di Luciano Benetton. Difficile, visto il suo essere poliedrico, definire Isgrò più pittore, poeta o scrittore in quanto la sua arte racchiude tutte queste singole le arti. Noi di Forbes lo abbiamo incontrato all’interno del suo studio a Milano, un luogo in cui il tempo si ferma vinto dalla riflessione che la cultura riesce, fortunatamente, ad imporre. Davanti a noi abbiamo così il Maestro.
Chi non è Emilio Isgro?
Certamente non sono uno disposto a tutto. Sono disposto a molte cose, ma non a tutto. E poi, come ho dichiarato più volte, non sono Emilio Isgrò.
Si sente più pittore o poeta visivo?
Ho fatto di tutto per essere considerato un pittore e forse, come sostengono i critici, ci sono riuscito, ma ahimè chi mi ama continua a considerarmi un poeta. Probabilmente è un bene, perché in questo momento ritengo che il mondo abbia più bisogno di poeti che di pittori, visto che si presuppone che il poeta sia un uomo libero da interessi economici e il pittore non sempre può avere questo privilegio.
La cancellatura, il tratto visivo che più la contraddistingue, è una negazione che afferma e fissa in modo indelebile la realtà?
La cancellatura potenzia la comunicazione nel momento in cui finge di distruggerla. La cancellatura apre le porte del linguaggio nel momento in cui le chiude.
Cosa le piacerebbe cancellare nel mondo dell’arte contemporanea?
Vorrei cancellare la pretesa, che oggi l’arte contemporanea ha, di essere comunicazione; cioè che l’arte si faccia per comunicare. Questo è un concetto che ha messo in giro un certo tipo di mercanti a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Io ritengo che non sia vero: l’arte si fa perché si prova piacere a farla, la si fa per avere piacere intellettuale. L’arte è come l’amore.
Quale valore non vorrebbe mai vedere cancellato nel mondo?
La lealtà nei rapporti umani.
In Italia l’arte è ancora elitaria. Cosa farebbe per aumentarne la diffusione?
L’arte non è per tutti, è sbagliato pensare che lo sia; nemmeno due sport popolari come il tennis o il calcio lo sono. Da questo a dire che l’arte non debba fare uno sforzo per arrivare a un pubblico più ampio, però ne corre. Nel recente passato è stato diffuso il mito populista che l’arte debba essere per tutti: nella mia visione ognuno ha la sua arte e certi personaggi hanno l’arte che si meritano. Al contadino tocca Padre Pio, mentre al petroliere del Texas il teschio tempestato di diamanti.
Che pensiero ha della la street art? Pensa che possa essere uno strumento per aumentare la fruizione dell’arte e per avvicinare i più giovani?
La spontaneità dell’arte di strada ci deve far riflettere, così come ci deve far riflettere che tale arte finisce immediatamente nelle gallerie.
Il Denaro è più forte dell’Arte?
L’arte è forte, ma non dobbiamo sottovalutare la forza del mercato. Dovrebbe esserci un equilibrio tra queste due componenti. Se l’artista è disposto a perdere di fronte al denaro non ponendosi questo interrogativo vince l’arte; se invece vuole batterlo, vince il denaro. Io sono nato in una epoca in cui il piacere di fare una opera d’arte era più forte di quello di fare denaro. Esiste il mito dell’artista che non ha bisogno di denaro. Nella mia visione, l’artista è tale o perché è troppo ricco, o perché è troppo povero. In fondo tra loro non c’è differenza perché l’arte nasce dall’ozio. Non ci sono vie di mezzo perché queste portano ad una arte mediocre.
Che rapporto c’è tra artista e pubblico?
Il fine dell’artista è la gioia e il piacere intellettuale di essere felici per gli altri. Chi fa arte dà piacere a se stesso, ma al contempo lo trasferisce al suo pubblico. L’artista ha il dovere di essere felice, solo così può fare felice chi osserva le sue opere. Il rapporto con il pubblico è di amore e di simpatia.
La sua isolanità – in fondo un’isola si regge sui flutti e può essere cancellata da una mareggiata diceva il filosofo Manlio Sgalambro – ha influenzato la sua arte?
Sì, certamente. La Sicilia, per la sua posizione geografica e la sua storia, è la terra in cui tutto nasce, tutto si trasforma e tutto si cancella. È una terra in cui anche i monoteismi sono in conflitto tra loro. Negli anni scorsi c’è stato un tentativo di distruggere l’Europa dicendo che il Mediterraneo non conta più niente. Io mi chiedo: se non conta più niente, ma perché le guerre le fanno sempre da noi? Ritengo che ci sia un tentativo di distruggere l’Europa partendo dalla parte più vulnerabile, il Mediterraneo appunto. La fortuna è che a Berlino c’è un governo democratico, se ci fosse un dittatore qualcuno ci avrebbe già bombardato.
Lucio Fontana con i suoi tagli ha dato alla pittura la tridimensionalità, lei con la cancellatura ha definito uno spazio pittorico nuovo. C’è un legame sottile tra la sua arte è quella di Fontana?
L’associazione che molti fanno mi lusinga, ma ritengo che le nostre esperienze siano distanti; l’unica cosa che forse mi può legare alla pittura di Fontana (che ho conosciuto e che comprò alla galleria Apollinaire di Roma una delle mie prime opere) è che noi giovani da lui abbiamo tratto l’esempio di un ardimento e di un coraggio intellettuale assoluto. Per tagliare o bucare una tela si ha necessità di tale caratteristica. Cancellando la Divina Commedia o la Treccani, ho dovuto affrontare un pubblico che si sentiva a disagio. Per farlo ci voleva un certo coraggio sociale.
Sente il peso della responsabilità di essere considerato tra i maggiori artisti viventi contemporanei?
Ammesso che la considerazione sia fondata, io mi comporto al meglio delle mie possibilità. Cerco di dare agli altri la forza che gli altri si aspettano di ricevere.
Lei è stato un giornalista e ai media ha dedicato molte opere, pensa che la funzione culturale e sociale di tale mezzo si stia perdendo?
I giornali si stanno trasformando. Quella cultura che la gente non trova sui social la cerca nelle librerie, ma anche nelle edicole superstiti. Il giornale sta cercando delle nuove strade, non credo che la carta stampata stia per finire o almeno non finirà nei prossimi anni: la notizia informa, mentre, il giornale e il libro formano.
Milano è la città in cui ha trascorso più anni, pensa che stia vivendo una fase di rinascita culturale?
Assolutamente sì. Milano oggi è una città culturalmente attiva e mi auguro che possa essere presa d’esempio da altre realtà. Un minimo di società civile si può riformare solo partendo da Milano. Un periodo così culturalmente attivo come questo attuale, Milano l’ha vissuto solo quando rinasceva dalle ceneri della guerra.
Nel panorama artistico attuale ci sono artisti che ritiene interessanti?
Quelli che io considero interessanti non sono quasi mai quelli che vengono proposti perché spesso prevale la mentalità consumistica. Per trovare artisti interessanti, bisogna andare a cercarli in piccole gallerie, quelle che magari stentano a sopravvivere.
Per finire: quale domanda cancellerebbe di questa intervista?
Le cancellerei tutte, perché questa intervista mi ha costretto a pensare e pensare è sempre faticoso!
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