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Cari brand, accendete la luce. Ci sono cose sui consumatori che non vedete

 

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I nostri occhi hanno un punto cieco, si tratta di un’area di fronte a noi che gli occhi non riescono a vedere. Potete constatare di persona con la semplice prova descritta su Wikipedia. Solitamente non ne siamo consapevoli poiché il nostro cervello è in grado di “vedere la zona non visibile” utilizzando le informazioni che ricava sulla base del campo visivo immediatamente circostante il punto cieco. In altre parole, il nostro cervello ci aiuta a farci vedere qualcosa che in realtà i nostri occhi non vedono.

Un punto cieco mentale è invece l’incapacità di percepire alcuni oggetti o comprendere alcuni concetti. Senza il giusto feedback che evidenzi l’errore percettivo o di comprensione, tendiamo a persistere nell’errore, cioè a credere in cose sbagliate oppure a comportarci in modo non corretto.

Ad esempio – diversi anni fa – mentre mi trovavo all’interno di una agenzia bancaria, osservavo un’anziana signora mentre stava per iniziare a compilare un modulo. Prese una lunga penna nera da un portapenna posto su di una scrivania, infilò di nuovo la penna nel portapenna per 2 volte e iniziò quindi a scrivere. Ad un certo punto cessò di scrivere, re-infilò la penna nel portapenna per altre due volte, e poi ricominciò a scrivere. L’anziana signora ripeté nuovamente il gesto alcune altre volte prima di terminare la compilazione del modulo. Infilò poi definitivamente la penna nel portapenna e si recò a una cassa per consegnare il modulo compilato.

È chiaro che l’anziana signora non si era accorta del suo punto cieco, cioè che i vecchi pennini e calamai erano stati rimpiazzati – ormai da anni – con penne a sfera e portapenne.

E le aziende invece, hanno dei punti ciechi? Ci sono cioè delle aree di comportamento dei consumatori che non riescono a vedere o comprendere? E se ci sono, quali sono le 2 aree più importanti?

  • Punto cieco 1: Segmentazione del Mercato

Le aziende hanno una vera passione per segmentare i consumatori, raggruppandoli ed etichettandoli in diversi gruppi. Tutto questo per poter comunicare cose diverse a diversi “segmenti” di consumatori. Tuttavia, l’innovazione rapidissima che contraddistingue oggi molti mercati viene adottata rapidamente da consumatori appartenenti ad esempio a fasce di età molto diverse, e in un tempo brevissimo tende a modificare le aspettative di tutti i consumatori. Sempre di più il comportamento di acquisto dei consumatori non dipende dalle dimensioni “tradizionali” di segmentazione, come l’età, il sesso, il reddito, la professione, lo stato famigliare e così via.

Qualche tempo fa Radio BBC dichiarò ad esempio che esiste una sovrapposizione del 40% tra la lista degli artisti preferiti dai suoi ascoltatori di 60 anni e la lista degli artisti preferiti dai ragazzi di 13 anni. Incredibile, non è vero?

I consumatori acquistano e utilizzano sempre di più prodotti e servizi dagli stessi marchi globali: Amazon, Apple, Facebook, McDonald’s, Nike, Uniqlo e altri. La conoscenza collettiva di questi marchi, combinata con l’esperienza di acquisto e consumo condivisa attraverso i social media, porta a creare una coscienza comune tra i consumatori di età compresa tra i 16 e i 70 anni, da Boston a Pechino, da Londra a San Paolo, da Amsterdam a Milano.

Anche il cosiddetto “status” non rappresenta più un concetto utile per raggruppare i consumatori. I vecchi status symbol – solitamente rappresentati da beni materiali – sono spesso associati a consumatori di età avanzata e con maggiore potere di spesa. I nuovi status symbol – esperienze, autenticità, connessione, salute, stili di vita etici e sostenibili – sono più effimeri e guidati dalle emozioni, e sono spesso un rovesciamento totale degli status tradizionali.

  • Punto cieco 2: Identità del Brand

La mente dei consumatori costruisce associazioni per i brand. Queste associazioni sono insiemi intrecciati e complessi di messaggi, esperienze, caratteristiche e presupposti, basati su tutto ciò che viene vissuto in relazione a un brand. Ciascuna di queste associazioni viene valutata – consciamente o inconsciamente – per il grado di piacere emotivo che essa ha stimolato. Alcune associazioni per un brand possono essere negative, mentre altre possono essere neutre o positive. Poche aziende riconoscono la necessità di invertire il senso di alcune associazioni. Per essere più precisi, esse hanno difficoltà a distinguere tra le associazioni che partono dal brand e si allargano verso l’esterno – che io chiamo associazioni forward – e le associazioni che iniziano dall’esterno e si spostano verso il brand – le associazioni backward.

Le ricerche di mercato che cercano di identificare come un brand viene percepito dai consumatori, ne sondano il significato ponendo alcune varianti della seguente domanda: “Quando pensi a [nome del brand], cosa ti viene in mente?”. Ad esempio, viene chiesto quali tipi di associazioni un brand come Nike può suscitare, come ad esempio le situazioni di utilizzo (es. la corsa o la camminata) o i benefici per il consumatore (es. la durabilità).

Ma la domanda giusta da porre non è ciò che il brand evoca, ma ciò che evoca il brand. In altre parole, la domanda giusta è: “Quando pensi a [evocatore], quale brand ti viene in mente?”. Ad esempio, per i brand automobilistici, nella mia esperienza ho potuto verificare che l’evocatore “sicurezza” stimola la risposta “Volvo” per molti consumatori.

Sono le associazioni forward quelle che consentono di comprendere come i consumatori percepiscono il brand, mentre sono le associazioni backward che consentono di comprendere rispetto a quali evocatori il brand è percepito come dominante, cioè ricordato maggiormente rispetto agli altri.

E quindi?

  • Iniziate a cercare i “Motivatori Emozionali”

Ricordate, non sono le emozioni che spingono i consumatori ad acquistare un brand, ma la motivazione, il desiderio. Per essere più preciso, i consumatori acquistano un certo brand non perché un’emozione è stata suscitata da quel brand, ma perché un brand è percepito come in grado di soddisfare il desiderio di vivere una certa emozione, quello che io chiamo un “motivatore emozionale”. Tale percezione diventerà poi più forte o più debole a seconda delle emozioni che seguiranno, durante l’interazione con il brand nei punti di contatto fisici e digitali.

La mia attività di ricerca e professionale dimostra che i brand emotivamente forti sono quelli che soddisfano numerosi motivatori emozionali, mentre altri brand mancano di tali associazioni. Quando il numero di motivatori emozionali soddisfatti da un brand cresce da 1 a 7, l’intenzione di acquisto arriva quasi a triplicare. Brand come Apple, Starbucks e Nike sono emotivamente molto forti poiché soddisfano tanti motivatori emozionali. Iniziate quindi a cercare i motivatori emozionali dei consumatori, quindi posizionate il vostro brand nella loro mente come il principale brand in grado di soddisfarli.

  • Emotional Brand Experience condivisa

Alcuni brand hanno iniziato a collaborare per offrire esperienze emozionali che nessuno dei brand coinvolti potrebbe offrire singolarmente. Ad esempio, BMW e Louis Vuitton potrebbero essere considerati due brand distanti, non associabili dai consumatori. I 2 brand hanno invece collaborato assieme, realizzando una campagna dove si vede come un set esclusivo di quattro valigie e borse Louis Vuitton si adatta perfettamente al baule della BMW i8.

Un altro esempio è offerto da Nike ed Apple, che hanno lavorato assieme fin dai primi anni 2000, quando fu rilasciato il kit sportivo Nike+iPod. L’esperienza condivisa consisteva nel combinare l’esercizio fisico con l’ascolto della musica attraverso un sistema wireless che permetteva alle calzature Nike+ di dialogare con l’iPod nano. Più recentemente è arrivato l’Apple Watch Nike+.

Le 2 iniziative di brand experience condivisa – quella di BMW&Vuitton e quella Nike&Apple – anche se importanti, non necessariamente generano una migliore esperienza emozionale per il consumatore. Potrebbero aggiungere solo più funzionalità, senza rispondere a nessun motivatore emozionale aggiuntivo.

Ancora una volta, prima di cercare un potenziale brand con il quale collaborare, i chief marketing e i chief executive officers devono sempre chiedersi: “Quali sono i motivatori emozionali che voglio soddisfare? Esiste qualche altro brand che potrebbe aiutarmi a soddisfarli?”. Quando sarete in grado di rispondere a queste 2 domande, sarà molto più facile identificare il brand giusto per offrire ai consumatori un’esperienza emozionale condivisa.

  • Capovolgimento della Brand History

I brand devono essere pronti a re-immaginare o addirittura capovolgere la propria storia, per attirare consumatori diversi da quelli “storici”. Il capovolgimento della storia del brand può essere infatti utile per aumentare il numero di motivatori emozionali che vengono soddisfatti dal brand stesso.

Un esempio interessante di capovolgimento della brand history è rappresentato da Rolls-Royce, la quale ha fatto la sua prima incursione nel mondo dei videogiochi attraverso un’apparizione in Forza Motorsport 5 per Xbox One. Il brand è rappresentato dal modello Wraith, l’ultimo modello Rolls-Royce. Forza – essendo uno dei più famosi videogiochi che simulano corse automobilistiche – contribuisce ad avvicinare il brand Rolls-Royce a un pubblico più giovane e appassionato di auto.

I metodi tradizionali di segmentazione e ricerca di mercato non consentono alle aziende di capire ciò che che spinge i consumatori a scegliere un brand. Anche le tecnologie emergenti di analisi delle emozioni sono basate su una conoscenza debole di ciò che le emozioni sono e di come possono essere misurate.

Nella mia esperienza ho potuto utilizzare metodi di ricerca quali il laboratorio per lo sviluppo del vocabolario emozionale, le comunità di consumatori interattivi e le analisi semiometriche. Sono metodi di “visione notturna” che consentono di illuminare i punti ciechi, dando la possibilità ad aziende pioniere di comprendere in modo rapido e chiaro cosa motiva il comportamento dei consumatori, mentre le aziende concorrenti continueranno a “muoversi nell’oscurità”.

 

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