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In campo col tailleur

Susan Whelan (a destra), ceo con manager Claudio Ranieri (al centro) e John Rudkin. (Photo by Michael Regan/Getty Images)

Articolo tratto dal numero di agosto 2019 di Forbes Italia. Abbonati. 
Di Andrea Di Biase

Il successo mediatico dei mondiali di calcio femminili, andati in scena in Francia a cavallo di giugno e luglio, ha acceso i riflettori sul ruolo delle donne nel mondo del calcio: non solo dal punto di vista sportivo, ma anche sotto il profilo manageriale e gestionale. Il dibattito sul pay-gap, la differenza salariale esistente tra giocatori e giocatrici, è da anni un tema caldo in quelle nazioni, come gli Stati Uniti o la Norvegia, dove il calcio femminile è ormai una realtà consolidata: basti pensare alla recente mobilitazione di molte star di Hollywood a favore della nazionale femminile a stelle e strisce. Ma anche in Italia, grazie anche alla visibilità ottenuta dal movimento nell’ultimo anno, il tema è diventato di stretta attualità. Anche per questo Governo e Figc hanno di recente annunciato di volersi attivare per adeguare la normativa ad un contesto in rapidissima evoluzione.

Ma quello del pay-gap non è l’unico tema caldo. Anche a livello manageriale e dirigenziale il calcio italiano sembra essere terreno pressoché esclusivo degli uomini. Nonostante il settore professionistico sia ormai diventato una delle principali industrie del Paese, con un giro d’affari di 3,4 miliardi di euro (18 miliardi considerato l’indotto) e con professionalità provenienti da altri settori economici quali la finanza, il marketing e la comunicazione, la rappresentanza femminile continua ad essere bassa.

Secondo i dati raccolti da Forbes Italia, il peso delle donne nei consigli di amministrazione delle 20 società che hanno partecipato al campionato di Serie A 2018-2019 è pari solo al 14% del totale. Un dato inferiore a quello dell’economia italiana nel suo complesso dove, secondo le rilevazioni di Unioncamere-InfoCamere, i consiglieri donna rappresentano circa il 25% del totale. In termini assoluti sui 120 amministratori che siedono nei board dei club del massimo campionato italiano solo 17 sono donne. Di queste, cinque sono legate da rapporti di parentela stretta al proprietario del club. Si tratta di Jacqueline Marie Baudit e Valentina De Laurentiis, rispettivamente moglie e figlia del presidente del Napoli, Aurelio, Rebecca Corsi, figlia del presidente dell’Empoli, Fabrizio, Adriana Spazzoli, moglie del patron del Sassuolo, Giorgio Squinzi, e Giuliana Pozzo, moglie del proprietario dell’Udinese Giampaolo.

Depurando il dato dai rapporti di parentela il peso delle donne nei Cda delle società di Serie A scenderebbe pertanto all’11%. Questo nonostante ad alzare la media ci siano club come Juventus, Roma e Lazio, che in quanto quotati a Piazza Affari sono tenuti a riservare il 33% dei posti in Consiglio alla quota rosa. Paradossalmente la Serie A va meglio della Premier League, dove le donne che siedono nei board dei club inglesi sono 35 su 523 con un’incidenza del 6,69%. Tuttavia in Uk l’universo femminile è ben più rappresentato a livello manageriale, specie in posizioni apicali. Per quanto riguarda la Serie A il peso delle donne nel top management delle società è solo del 12%. Complessivamente negli organigrammi dei club della prima categoria figurano 33 donne su un totale di 285 manager. Le aree maggiormente presidiate dalle donne sono quelle legate ad amministrazione e finanza (34% del totale), al commerciale (27%) e alla gestione delle risorse umane (18%). Nessuna donna ricopre invece un ruolo chiave nel settore tecnico.

Diversa la situazione in Inghilterra dove le donne si occupano anche della parte tecnica a partire dal calciomercato. Basti pensare a Marina Granovskaia, braccio destro di Roman Abramovich e dal 2014 amministratore delegato del Chelsea. È lei la regista delle mosse dei Blues degli ultimi anni, sue le scelte sugli allenatori da esonerare (ne sanno qualcosa José Mourinho e Antonio Conte) e dei calciatori da acquistare o vendere. Ma la “zarina”, considerata la donna più potente del calcio mondiale, non è l’unica donna a guidare un club di Premier League.

L’irlandese Susan Whelan, scelta nel 2011 pur non avendo alcuna esperienza di calcio per guidare il Leicester da Vichai Raksriaksorn (da poco scomparso nel tragico incidente in elicottero), è stata recentemente nominata donna d’affari più influente d’Irlanda dalla Women’s Executive Network. Karren Brady, conosciuta anche come “The First Lady of Football”, ha ricoperto il ruolo di direttore generale del Birmingham City ed è oggi vicepresidente esecutivo del West Ham oltre che componente della Camera dei Lord, dopo essere stata insignita del titolo di baronessa. Amanda Staveley, una brillante carriera nel campo della finanza, dopo aver facilitato l’acquisizione del Manchester City da parte dello sceicco Mansour, nell’autunno dello scorso anno ha provato ad acquistare il Newcastle dall’attuale proprietario Mike Ashley. Se l’offerta fosse stata accettata, la pattuglia rosa in Premier sarebbe ancora più consistente.

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