Ascolta “Meglio la terza media o un master?” su Spreaker.
di Roberto D’Incau, Founder&CEO, Lang&Partners Younique Human Solutions, www.langpartners.it
La domanda farebbe sorridere Monsieur de La Palisse: meglio avere un’educazione internazionale, parlare tre lingue, avere un master di un’università prestigiosa o presentarsi al mondo con un risicato diploma di terza media, non parlare nessuna lingua e iniziare a lavorare a 14 anni?
La risposta, per de la Palisse, sarebbe senza dubbio la prima. Una persona che è nata in un ambiente benestante, che può permettersi di fare studi importanti, di parlare varie lingue con viaggi di studio all’estero, è sicuramente una persona che nella corsa della vita nasce con una marcia in più: come partecipare a una corsa partendo con un vantaggio.
Non è il caso del nostro ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, che, nata in ambiente non privilegiato, è passata da essere una bracciante agricola a Ministro della Repubblica.
Penso, darwinianamente, che nella corsa la partenza conti, ma conti ancora di più l’arrivo: se e come ci si arriva.
Per il mio lavoro, ho incontrato e parlato in questi anni con migliaia di persone, che mi hanno raccontato la storia della loro vita professionale (e non solo quella). C’è chi parte benissimo e resta al palo, c’è chi parte malissimo, non studiando o facendo scuole di serie B, ed è però talmente motivato e determinato che arriva dove si era prefisso di arrivare.
Un mio amico, di grande successo professionale, mi ha raccontato recentemente che a scuola venne messo in una classe “differenziale”, per alunni con un ritardo di apprendimento: erano, di fatto, me le ricordo ancora a Milano, le classi delle elementari dove venivano messi i ragazzini più difficili, diversamente abili o con disturbi dell’apprendimento o problemi di socializzazione. Proprio questa partenza sfavorita lo ha motivato tantissimo e lo ha portato a fare una carriera splendida, grazie alle sue tante qualità.
Al contrario, conosco persone che hanno avuto la possibilità di frequentare le scuole “giuste”, di studiare all’estero, di fare master blasonati e poi di rimanere bloccati nella carriera: non erano sufficientemente motivati, o le loro soft skill cozzavano con i titoli di studio che avevano accumulato. Non c’era storia: erano “mosci”, nonostante i loro studi.
A una cena con un direttore di giornale, donna, una power woman, venuta da una scuola di provincia, nemmeno da un liceo, abbiamo recentemente parlato di cosa fa si che una persona raggiunga il successo professionale: la fame, diceva lei, la motivazione, il “drive” personale dico io, e anche una buona dose di “cazzimma”, come dicono a Napoli (parola presente anche nel dizionario Treccani ormai), il sapersi muovere. Non è furbizia, è l’intelligenza emozionale, che comprende ad esempio la capacità di fare networking e costruirsi una rete efficace di relazioni. Quando tutto ciò s’incontra con le competenze si ha naturalmente la quadra perfetta.
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