la fontana nel lago di Ginevra
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Cosa cambia (e cosa no) con la Svizzera fuori dalla lista dei paradisi fiscali

la fontana nel lago di Ginevra
La città di Ginevra vista dal Lago Lemano con il suo caratteristico getto d’acqua (Shutterstock)

L’Unione Europea ha ridotto la black list dei paradisi fiscali, vale a dire quegli stati ufficialmente definiti “non cooperativi” che consentono a privati e società di nascondere i loro guadagni al fisco europeo. Una prima lista nera era stata compilata nel 2017 e ne facevano parte 17 paesi (poi aggiornata nel marzo 2018 a 15 paesi). Insieme a questa stata pubblicata anche una “lista grigia” di 47 paesi sotto osservazione. In seguito alcuni paesi erano stati spostati nella grey list perché avevano assunto degli impegni con l’Unione Europea per modificare il proprio regime fiscale.

Giovedì da questa lista sono stati rimossi la Svizzera e gli Emirati Arabi Uniti, poiché i due grandi hub finanziari mondiali avrebbero implementato le riforme necessarie per conformarsi alle regole di governance europee prima della scadenza indicata, fanno sapere i ministri delle finanze dei 28 paesi dell’Ue. Grazie alla revisione sono stati “perdonati” anche l’Albania, il Costa Rica, le Mauritius, le Marshall Islands e la Serbia.

La lista grigia, il “purgatorio” di nazioni che ancora devono adeguarsi agli standard continentali include ancora nove giurisdizioni extra-europee, principalmente isole del Pacifico che però hanno interazioni finanziarie limitate con l’Ue: le Samoa Americane, il Belize, Fiji, Guam, Oman, Samoa, Trinidad e Tobago le Virgin Islands e Vanuatu.

“L’elenco UE dei paradisi fiscali è un vero successo europeo. Ha contribuito in maniera determinante alla trasparenza e all’equità fiscale su scala mondiale”, aveva detto Pierre Moscovici, allora Commissario responsabile per gli Affari economici, quando a marzo la black list era stata rivista una prima volta. Grazie a questo censimento, secondo Moscovici, “decine di paesi hanno abolito regimi fiscali dannosi e si sono conformati alle norme internazionali in materia di trasparenza ed equità fiscale”.

Ma adesso non tutti festeggiano: “L’Unione Europea ha insabbiato due dei più potenti paradisi fiscali al mondo”, dice l’esperta fiscale di Oxfam International, Chiara Putaturo. “Nonostante le riforme, entrambi i paesi (Svizzera ed Emirati Arabi) continueranno ad offrire succulenti vantaggi alle società, ad esempio interessi molto bassi, accelerando così la gara al ribasso della tassazione sulle multinazionali”.

Il 19 maggio scorso gli svizzeri avevano detto sì alla riforma fiscale tramite referendum: il 66,4 per cento dei votanti aveva accettato le nuove norme tributarie, ribaltando l’esito della consultazione di due anni prima, quando la maggioranza dei cittadini svizzeri si era espressa contro. Dopo la bocciatura del 2017, il Parlamento ha lavorato sulla modifica della proposta originaria approvando nel settembre del 2018 un nuovo modello di riforma che poi è uscito vittorioso in primavera.

Come riporta FiscoOggi, le nuove regole, che entreranno in vigore il primo gennaio del 2020, allineano la fiscalità d’impresa svizzera a quanto richiesto a livello internazionale dagli standard Ocse e dell’Unione europea. Le norme approvate incideranno in modo sostanziale sulla tassazione delle imprese che gioca un ruolo fondamentale nell’equilibrio finanziario svizzero. La riforma abolisce, tra le altre cose, il regime fiscale privilegiato per le società con statuto speciale che verseranno l’imposta sugli utili non più in maniera ridotta ma interamente. Sul fronte degli azionisti per i quali è previsto un aumento delle imposte sui redditi provenienti da partecipazioni.

A marzo, l’Italia e l’Estonia si erano opposte senza successo al temporaneo reinserimento degli Emirati Arabi Uniti nella lista nera (facevano parte di quella del 2017, ma erano stati spostati in quella grigia per aver promesso riforme fiscali che non erano ancora state attuate). Secondo l’Italia il governo di Dubai aveva avuto poco tempo per adeguarsi agli standard europei in maniera fiscale. Tutti gli stati monitorati nei mesi scorsi dalla Commissione hanno avuto un anno di tempo per adeguarsi agli standard europei prima di essere inseriti di nuovo nella black list.

È importante ricordare che, se anche la Svizzera e gli Emirati fossero ricaduti nella black list, questa non avrebbe avuto alcun potere coercitivo, cioè i paesi inclusi non avrebbero potuto ricevere aiuti dall’Unione Europea (a meno che non si tratti di aiuti allo sviluppo) ma imprese e privati avrebbero potuto continuare a lavorarci senza rischiare alcuna sanzione.  La Commissione Europea ha sempre incoraggiato tuttavia i singoli stati a mettere in atto sanzioni più dure, se lo ritengono necessario, ad esempio stabilendo una tassa su tutte le transazioni economiche che partono o arrivano da un paradiso fiscale, oppure imponendo controlli fiscali ai privati e alle aziende che ci hanno a che fare.

Aveva commentato Putaturo: “La black list è uno strumento, se è forte, se è monitorato e se è sanzionato, può essere uno strumento utile, ma ovviamente non è abbastanza”.

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