Intesa Sanpaolo Carlo Messina
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Ubi-Intesa, così Carlo Messina si consacra dominus del consolidamento bancario

Carlo Messina, amministratore delegato Intesa Sanpaolo (Imagoeconomica)

Con un’operazione da 4,86 miliardi di euro sostanzialmente inaspettata, Carlo Messina prende in mano le redini del risiko bancario in Italia.

La mossa annunciata nella notte con cui, attraverso l’acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo, potrebbe nascere la settima più grande banca dell’Eurozona (caratterizzata da asset per 1.100 miliardi di euro e 3 milioni di nuovi clienti in dote a Intesa), fa di Messina il manager bancario più intraprendente sul terreno delle aggregazioni tra quelli di tutti i maggiori istituti nazionali.

Una risposta anche alle esortazioni dei regolatori nazionali che, a ormai più di dieci anni dalla grande crisi finanziaria, più volte hanno espresso la necessità di un consolidamento che riducesse la eccessiva competizione, fosse in grado di tagliare i costi e desse una scossa alla bassa profittabilità del settore.

Un’aggregazione che non potendosi giocare sul terreno transfrontaliero (troppe le incognite regolamentari ancora presenti in tra i diversi Paesi europei nonostante gli appelli per un Unione bancaria) si è spostata in ambito nazionale. Non senza qualche sovrapposizione geografica, come appare evidente dalla previsione di conferire parte delle filiali Ubi (tra 400 e 500) a Bper.

D’altro canto Messina è da sempre un sostenitore di operazioni domestiche, piuttosto che cross-border, come invece è apparso fin da subito Jean Pierre Mustier, alla guida di Unicredit, nel recente passato affiancato prima a Société Générale e poi a Commerzbank.

Che l’operazione abbia poi visto Mediobanca nel ruolo di consulente, con la partecipazione di Bper e anche di UnipolSai, che in caso di riuscita dell’operazione rileverebbe le attività nella bancassicurazione, dipinge il quadro di un’operazione di sistema, forse ormai non più rinviabile.

L’operazione con Ubi sembra così il punto di sintesi migliore per assicurare il consolidamento a livello nazionale in una fase caratterizzata da bassi tassi d’interesse e altrettanto bassi margini e dalla necessità di sostenere ingenti investimenti tecnologici, ma anche per consentire ad Intesa una scala comunque europea, nonostante l’italianità dell’operazione, per “raggiungere dimensioni che le consentano di competere autonomamente e svolgere un ruolo proattivo nel panorama bancario europeo”.

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