E’ ancora presto per tracciare un bilancio dell’impatto sul mondo produttivo dell’emergenza Coronavirus nel nord Italia, in particolare in Lombardia e Veneto. Dopo il blocco delle scuole non c’è stata la temuta chiusura delle aziende nell’area milanese, ma dall’utenza decisamente sotto la media dei mezzi pubblici in città si percepisce che un primo impatto c’è già stato. Chi ha potuto ha scelto l’alternativa dello smartworking, di limitare gli spostamenti, o comunque di utilizzare mezzi privati.
Ma cosa succederebbe se il blocco fosse imposto a tutela della salute pubblica e non fosse una libera scelta? Cosa accadrebbe quindi se Milano, la Lombardia e il nord Italia dovessero rimanere congelate per una settimana o più?
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat sul Pil dell’Italia, risalente al 2017, il peso delle regioni del nord è stato pari a 1.725 miliardi di euro circa. La Lombardia ha contribuito per 383,2 miliardi, il Veneto per 162,5 miliardi, l’Emilia-Romagna per 157,2 miliardi. Le tre regioni insieme darebbero vita dunque a poco più del 40% del Pil nazionale.
Considerando il solo caso della Lombardia, la regione più colpita dal virus e dove già esiste una zona rossa dalla quale è vietato entrare e uscire, il blocco delle attività produttive per una settimana avrebbe l’effetto di generare una diminuzione del Pil di 7 miliardi. Questo sarebbe però solo un primo effetto. Andrebbero poi considerati tutti gli impatti di lungo periodo: reputazionali, di attrattività e quelli legati ai mancati arrivi di operatori economici internazionali (senza considerare che i periodi di quarantena sono usualmente più lunghi di una settimana). Ed escludendo, come tutti si augurano, gli effetti di un blocco duraturo, come quelli documentati da Bloomberg in alcune aree della Cina, dove oltre al crollo delle vendite nei negozi si sta registrando il quasi completo blocco del settore privato.
Tutti timori che mettono a repentaglio i risultati raggiunti da Milano nell’ultimo decennio.
Nel 2018 McKinsey ha annoverato il capoluogo lombardo tra le 50 città accentratrici di ricchezza e potere economico a livello globale, insieme a capitali del calibro di Londra e Parigi, e la prevede tra le top 50 aree globali ancora nel 2025. Milano è anche la prima provincia italiana per numero di imprese manifatturiere, con oltre 200mila dipendenti nel settore.
Un secondo punto fondamentale è la capacità di attrarre imprese e capitali. Secondo l’Osservatorio Milano 2019 di Assolombarda, le imprese a proprietà estera attive sul territorio della città metropolitana sono circa 10.700. Milano continua inoltre a distinguersi per essere il gateway privilegiato degli investimenti esteri diretti in Italia, con una concentrazione di tutti i nuovi progetti che sale al 34,2%.
La città – secondo lo stesso rapporto – mantiene la terza posizione in Europa relativamente all’attrazione di turisti e nell’ultimo anno ha registrato una crescita superiore a quella degli altri benchmark europei (+8,7%).
Un notevole dinamismo emerge sia nell’ambito della ricerca scientifica accademica, sia nella diffusa capacità innovativa delle imprese. Nell’area metropolitana di Milano vengono registrati il 32% dei brevetti italiani e si effettua il 27% della ricerca scientifica più citata a livello globale. Tra i fattori di competitività anche il modello economico-produttivo polisettoriale e multidimensionale. L’integrazione sinergica è tra industria, commercio, servizi innovativi e finanza, ma anche tra piccole imprese familiari (l’ossatura del sistema), multinazionali estere (4.600 delle 14.000 localizzate in Italia), grandi imprese (91 con fatturato annuo oltre il miliardo di euro), medie imprese a elevata vocazione internazionale, startup innovative.
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