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Farm to Fork: l’Ue in campo per la sostenibilità della filiera alimentare

Paola Corte, name partner dello studio legale Corte

L’obiettivo è garantire la sostenibilità della filiera alimentare. L’Unione europea ha da poco approvato Farm to Fork, strategia pluriennale di cui parliamo con Paola Corte, name partner dello studio legale Corte.

Avvocato, come si inserisce questa iniziativa nelle strategie della nuova Commissione europea, a cominciare dal Green Deal?

Quest’ultima è una strategia di crescita e sviluppo sostenibile che mira a rendere l’Europa il primo continente ad impatto ambientale zero entro il 2050.  Farm to Fork è al cuore di questa iniziativa: si tratta di un ambizioso programma di riforme green che coinvolgerà l’intera filiera alimentare, dalla produzione primaria al consumo, influenzando non soltanto il mercato europeo ma quello globale.

In che modo?

Muove dal presupposto che vi sia un legame inscindibile tra salute umana, benessere degli animali, equità sociale, clima ed ambiente, e tocca quindi ciascuno di questi frangenti.  L’idea è di introdurre modifiche nel comportamento di tutti, imponendo ed incentivando pratiche più sostenibili e più eque nell’agricoltura, nell’industria, e nel commercio, nel contempo influenzando e modificando le scelte e le abitudini del consumatore.

Quali sono le principali novità di questo piano?

Ce ne sono tante.  Per fare qualche esempio, si passa dalla riforma delle norme sull’uso dei pesticidi e dei fertilizzanti in agricoltura alla promozione di una maggiore efficienza energetica, alla riformulazione dei prodotti alimentari trasformati, alla volontà di ridurre gli sprechi di ogni tipo, a quella di modificare le abitudini alimentari dei cittadini europei attraverso il tipo di informazioni che saranno rese sugli alimenti, infine un rafforzamento delle lotte contro le frodi alimentari.

Che impatto attendersi sul made in Italy?

Alcuni settori usciranno rafforzati dalla strategia Farm to Fork.  E’ prevista, ad esempio, la promozione dell’agricoltura biologica, di cui l’Italia è leader.  Entro la fine del 2022 sarà proposta un’intesa per aumentare ulteriormente il range di prodotti per i quali è obbligatoria l’indicazione di origine, della quale l’Italia è promotrice.  E’ inoltre prevista una intensificazione della lotta contro le frodi alimentari, in modo da tutelare i prodotti di qualità e la parità delle condizioni di concorrenza del mercato per gli operatori.    Altre misure destano delle perplessità.

Ci può fare qualche esempio?

La strategia muove dal presupposto che l’attuale modello di consumo alimentare sia insostenibile sia dal punto di vista salutistico che ambientale.  Da un punto di vista ambientale, ad esempio, l’analisi dei dati da cui muove l’UE indica la zootecnia quale responsabile del 70% delle emissioni di gas a effetto serra dovute all’agricoltura.  Da un punto di vista salutistico, il consumo di carni rosse, zuccheri, sale e grassi sarebbe eccessivo, a fronte di un consumo insufficiente di alimenti a base vegetale.

Per questa ragione uno dei punti della strategia è di cambiare le abitudini alimentari della popolazione, portandola a consumare più alimenti a base vegetali e meno carne rossa, intendendosi per tale la carne di manzo, maiale, agnello, capra e tutte le carni trasformate. La scelta politica di promuovere alcune tipologie di alimenti a scapito di altri pare essere in contrasto con la promozione di una dieta varia ed equilibrata nel suo complesso.  Chiaramente il settore della zootecnia e tutta la nostra tradizione gastronomica escono penalizzate da questa strategia.  Si pensi solo al fatto che oltre 40 dei nostri prodotti dop e igp sono carnei.

E come pensano di riuscire a cambiare le abitudini alimentari dei consumatori?

Ad esempio, al presunto scopo di promuovere una dieta più sana dei consumatori, sarà imposta la dichiarazione nutrizionale obbligatoria sul fronte della confezione, in modo da renderne più immediata la percezione.  La Commissione ha pubblicato uno studio sui diversi metodi in vigore in vari paesi comunitari per riportare informazioni nutrizionali sul fronte della confezione.  Alcuni di questi, al posto che fornire le informazioni nutrizionali al consumatore in modo che questi possa trarne le sue conclusioni, sono valutativi, cioè esprimono un giudizio.  Un eventuale brutto voto sul fronte della confezione penalizzerà il prodotto, perché chiaramente una parte dei consumatori tenderà ad evitarlo.  I parametri in base ai quali si attribuiscono i voti diventeranno quindi essenziali per promuovere o scoraggiare l’acquisto e il consumo di certi prodotti alimentari.  C’è da prevedere che alcune referenze saranno modificate allo scopo di migliorare il valore nutrizionale complessivo e dunque il voto sul fronte della confezione.  Altre, che hanno ricette tradizionali, purtroppo non sono modificabili.  Desta qualche preoccupazione il fatto che il “nutri score”, modello valutativo adottato attualmente da Francia, Belgio, Spagna, Germania, Olanda e Lussemburgo, adotti criteri di valutazione che non premiano una serie di prodotti che fanno parte delle eccellenze alimentari italiane.  Basti pensare che l’olio EVO, in Italia da sempre considerato un prodotto salutare, ottiene il voto “C” (giallo).  Ferme restando le perplessità legate alla scelta di agire sulla percezione di un singolo prodotto, in luogo che sull’insieme degli alimenti che costituiscono la dieta nel suo complesso, sui parametri di valutazione degli alimenti si aprirà quindi una partita politica importante per alcuni settori del made in Italy.

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