Responsibility

Roberto Cingolani dice la sua, dalla robotica alla sostenibilità

Articolo di Enzo Argante apparso sul numero di Forbes di giugno 2020. Abbonati

Un trauma collettivo consumato in poche settimane: la salute pubblica travolta, l’onnipotente tecnologia digitale schiacciata da un organismo microscopico, il sistema economico finanziario in ginocchio. Ma anche: il pianeta che respira, miliardi di persone connesse nello stesso momento e cultura, conoscenza, lavoro, arte che si trasferiscono in rete. Una tragedia ma anche una opportunità: servirà ai processi di sostenibilità? La domanda andrebbe rivolta a una task force (un’altra…) ma intanto ci ‘accontentiamo’ del parere di Roberto Cingolani, fisico e padre della robotica all’IIT di Genova. Da poco più di un anno è chief innovaton officer di Leonardo e membro della task force governativa guidata da Vittorio Colao.

Lei è anche filosofo della scienza e maestro della sostenibilità. Da questo punto di vista, in che situazione ci troviamo?
La nostra miopia non ci fa vedere che il problema sostenibilità è presente, grave e soprattutto che perdura da decenni: ci voleva una pandemia per ricordarci che la casa in cui viviamo è pericolante? L’Onu ogni due anni propone il Global Environmental Outlook, un report potente in cui si fa il punto dello stato del nostro ecosistema, anche sociale, di cui nessuno ha mai parlato. I media sono pressanti su tutto e in modo stucchevole anche su aspetti irrilevanti, ma non prestano la dovuta attenzione a uno studio che elabora fatti, precisi, scientifici. Dobbiamo fare una riflessione sul bene comune, sul mondo dove viviamo, sul lavoro che creiamo, sulle diseguaglianze a livello globale.

Negli Stati Uniti sono emersi 26 milioni di nuovi disoccupati. Un mondo delicato in equilibro tra capitalismo, democrazia e umanità, che in poche settimane è messo a dura prova. Come è possibile?
È un sistema che ha lasciato il controllo e la strategia alla finanza. La quale è un asset sociale ed economico, ma che può diventare un oggetto di profitto fine a sé stesso che non è fisiologico e crea disuguaglianza globale. Questo perché non si trova un equilibrio tra chi investe e chi rischia e la sostenibilità sociale dei processi.

Siamo andati sulla Luna e in qualche modo anche su Marte; grazie alle rinnovabili siamo a un passo dall’energia a costo (e impatto) zero. Viviamo in un mondo ipertecnologico, eppure ci siamo trovati impreparati di fronte a questo virus.
Un’altra lezione che viene dal Covid: in futuro dovremo pesare meglio le azioni su conoscenza e tecnologia e investire di più sulla generazione digitale: no al self-made e sì alla scuola che educhi e formi attraverso un’università in grado di adattarsi a forme di interdisciplinarietà che oggi sono indispensabili.

Il criterio secondo il quale un sistema è forte solo se ‘cresce’ potrebbe essere messo in discussione a vantaggio di quello sostenibile?
Penso che il nostro modello stia un po’ barando perché calcoliamo solo la parte positiva del bilancio. E la parte di debito legata ai rifiuti che creiamo e non smaltiamo, alla Co2 che emettiamo, all’energia che consumiamo, ai materiali che non ricicliamo? Chi li tiene questi conti? Semplicemente li mettiamo a debito per le future generazioni. Ma noi non siamo proprietari del futuro, ce l’abbiamo in comodato d’uso, dobbiamo consegnarlo alle nuove generazioni in modo che sia vivibile e migliore del nostro!

L’immaginario collettivo, l’opinione pubblica, quindi la politica e il governo (sulle imprese ci contiamo) è in grado di mettersi in discussione e creare anticorpi efficaci?
Il fatto che le agenzie di rating abbiano cominciato a calcolare la sostenibilità e che le aziende debbano stilare un bilancio di sostenibilità vuol dire che siamo sulla strada giusta. Molti studiosi di sostenibilità stanno lavorano a diversi modelli. La risposta quindi è si. Ma attenti: il tempo ha un costo enorme, le agende dell’Onu di Parigi e di Tokyo pongono obiettivi al 2030 e 2040.

Si grida all’invasione della privacy da parte delle varie app di tracciamento per combattere Covid-19. Ma siamo tutti tracciati da tempo no?
Assolutamente. È chiaro che la privacy è fondamentale per l’individuo ma è altrettanto evidente che in tempi di emergenza si può stabilire un patto sociale con lo Stato, basta delimitarne durata e termini. In generale, però, trovo inaccettabile che si faccia un discorso del genere per il Covid-19 ma che nessuno protesti quando entriamo in macchina e il navigatore ti dice che impiegherai 14 minuti per arrivare a casa.

Ci vogliono ‘buoni sentimenti’ e bravi designer del futuro capaci di assemblare i vari punti di vista. I primi sembrano una rarità, i secondi non ci sono ancora. Dobbiamo preoccuparci?
Un pochino sì. Anche i buoni sentimenti sono il frutto della conoscenza, è una questione culturale. Meglio una vita spesa nell’umiltà dello studio che nell’arroganza di diventare ricchi e forti. In questo sono un po’ più umanista a discapito dei miei studi naif: una società della conoscenza ha più probabilità di creare buone persone; una società dove c’è il predatore e ci sono i deboli automaticamente non può che creare deboli pronti a tutto, mentre il predatore fa il predatore per definizione. Si va da una società animale non sapiens a una società sapiens, che è in grado di capire quello che succede e di valutare che ogni azione ha una conseguenza. Non è solo un principio fisico, è prima di tutto un principio etico.

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