Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Forbes Italia
All’inizio di giugno il presidente Sergio Mattarella l’ha insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica per essersi distinto nel servizio alla comunità durante l’emergenza del coronavirus. Ha chiuso il suo ristorante preparando pizze e biscotti per i poveri e gli anziani in difficoltà e organizzato una raccolta fondi per l’ospedale di Caserta. Ma l’epopea del maestro pizzaiolo Franco Pepe, patron della pizzeria Pepe in grani di Caiazzo era iniziata già molto prima: partendo da bambino con il padre e i fratelli nella bottega creata dal nonno fino a creare un brand in grado di attrarre nella provincia casertana persone da tutto il mondo.
Definire Pepe un semplice pizzaiolo è a dir poco riduttivo, lui è un vero e proprio artigiano della panificazione. E il suo è un piccolo impero: la pizzeria ricavata da un palazzo del 1700 nel cuore di un paesino del casertano riceveva prima del Covid-19 oltre 14mila visite al mese, da persone desiderose di assaggiare quella che è stata definita dal Premio Pulizter Jonathan Gold la “pizza più buona del mondo”.
Pepe in grani, inoltre, è anche l’unica pizzeria italiana inclusa nella sezione Discovery della prestigiosa guida enogastronomica 50 Best (quella che nel 2016 e 2018 ha incoronato lo chef tristellato Massimo Bottura, per intenderci).
Un risultato su cui pochi avrebbero scommesso negli anni della giovinezza, quando Pepe, nonostante fosse nato in una famiglia di panificatori, svolgeva anche altri lavori come il postino o l’insegnante di educazione fisica.
Poi la svolta nel 2012, quando apre il suo locale. Figlio di una concezione diversa della pizza, ma anche della professione di pizzaiolo. “Sono partito con le mie idee, con i debiti in banca e con la forza dell’uomo e della sua artigianalità”, racconta. “Oggi ho 42 persone che lavorano nel vicolo di un paese di 5mila anime, dove 400 persone al giorno scelgono di mangiare la mia pizza, con tante presenze straniere, anche 12-13 nazionalità diverse per sera”. Per arrivare a questi risultati occorreva però rivedere l’idea della pizzeria. “C’era un concetto derivante dagli anni ’70 e ’80 in cui il pizzaiolo faceva un po’ di tutto. Quando ho aperto ho deciso di fare un lavoro sul team per dare dignità alle persone. Ho fatto formazione. Così oggi c’è una cucina a supporto della pizzeria, e ho creato ruoli nuovi: c’è chi è addetto agli impasti, chi a raccontare le nostre pizze e c’è la figura del cuoco di pizzeria. Sono 14-15 persone a cui ho affidato compiti diversi e che tutti insieme fanno l’identità della mia pizzeria”.
Questo è stato il primo passo necessario per rendere una pizza un brand, ma non poteva naturalmente bastare senza la qualità. “Ho ascoltato molto il cliente, con l’intenzione di passare dal buono al sano. Se oggi si continua a parlare della mia pizza è perché c’è voglia di sperimentazione, di mettere in discussione la tradizione, di guardare con interesse all’innovazione uscendo dagli schemi. Voglio fare un percorso dove il mio lavoro è un atto di responsabilità, con un approccio salutistico”. Tanto che del suo team fa parte anche una nutrizionista.
Nel 2017 poi viene inaugurata la sala Authentica, luogo di incontro e di contatto diretto tra il pizzaiolo e i clienti. Definita la “pizzeria più piccola al mondo”, presenta un tavolo semicircolare con otto sedute che si incrocia con il banco di lavoro, che ha alle spalle un piccolo forno a legna e può avere molteplici funzioni: didattica, approfondimento, spazio di degustazione e confronto. All’interno di questa piccola saletta si sono svolti gli appuntamenti di Authentica stellata, una serie di incontri in cui il Maestro Pepe ha realizzato dei menù in compagnia di chef stellati come Cannavacciuolo, Beck, Esposito e tanti altri.
Nel 2018 arriva anche il menù funzionale, che si pone l’obiettivo di sdoganare la pizza da quell’idea, propria dell’immaginario collettivo, che la vede come uno strappo alla regola alimentare. L’idea è quella di portare la salute in tavola, ponendo l’attenzione sul giusto equilibrio tra i macronutrienti – carboidrati, proteine e lipidi – presenti nella pietanza, rapportandoli equamente alla presenza di fibra alimentare; ciò, infatti, incide sui tempi di digestione e di assimilazione, riducendoli, e contribuisce a rendere la pizza un ottimo piatto unico.
Basterebbe tutto questo per poter definire Pepe un vero imprenditore della pizza, ma c’è anche di più. Perché Pepe ha avviato anche una sua produzione molitoria, con ZeroPepe, un piccolo mulino della Franciacorta, “da cui parte l’identità della mia pizza”. E sono sempre più frequenti anche i casi di sue consulenze ai grandi nomi dell’ospitalità italiana, o di spin off, come La Filiale, la struttura ristorativa all’interno de L’albereta di Erbusco. “Ma senza approfittare delle grandi città, perché cerco progetti che mi diano lo stimolo giusto. E perché con il nostro saper fare dobbiamo riuscire anche a far spostare le persone dai percorsi più classici”.
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