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Da Harvard a Trieste: chi è l’under 30 prodigio della cardiochirurgia

Annalisa Bernabei

Articolo apparso sul numero di novembre 2020 di Forbes Italia. Abbonati

Nata a Trieste, ma Annalisa Bernabei oggi dice avere “la fortuna di potersi definire una cittadina del mondo”. Da bambina sognava di diventare una biologa marina: non aveva ancora maturato l’idea di preferire un lavoro che prevedesse anche il contatto umano. È così che ha deciso di intraprendere la carriera medica ed è entrata all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “La tenacia sviluppata da nuotatrice agonista e la predisposizione a sistemare le cose con le mie mani hanno fatto sì che mi appassionassi alla chirurgia in maniera naturale”, dice. “Con la cardiochirurgia, poi, è stato un colpo di fulmine risalente a un tirocinio con il professor Alfieri, durante il mio terzo anno di università”. Da quel momento non l’ha più lasciata ed è grazie a lei se è finita a lavorare dall’altra parte del mondo. Verso la fine del percorso universitario, ha infatti deciso di esplorare la realtà estera. Ha ottenuto l’abilitazione medica americana ed è stata selezionata dalla Harvard Medical School per due mesi di tirocinio da studentessa in chirurgia cardiotoracica: “È stata un’esperienza life-changing e l’entusiasmo reciproco è stato tale che mi hanno offerto la posizione di junior fellow in cardiac surgery ancora prima che mi laureassi”.

Dopo la laurea a pieni voti, Annalisa Bernabei è partita alla volta dell’America: prima per sei mesi come ricercatrice in cardiochirurgia alla Mayo Clinic a Rochester (Minnesota) e poi si è trasferita a Boston per iniziare il lavoro al Brigham and Women’s Hospital e Clinical Fellow ad Harvard. “Quello di medico è un lavoro certamente totalizzante, ma cerco comunque di ritagliarmi dello spazio per dedicarmi al mio più grande hobby che sono i viaggi”, racconta. Annalisa Bernabei è un medico chirurgo a tempo pieno. Il lavoro di junior fellow consiste nell’occuparsi di tutta l’attività clinica dell’unità operativa di cardiochirurgia come responding clinician e come cardiac surgery resident on-call. “Questo significa gestire i pazienti pre e post-operatori in prima persona in reparto di giorno e di notte, coprire il servizio di consulenze, aiutare in sala operatoria e fare guardie in terapia intensiva cardiochirurgica”, spiega. Ha proseguito la sua fellowship fino al dilagare della pandemia, momento in cui sono subentrate una serie di vicissitudini di stampo soprattutto burocratico-sanitario che l’hanno definitivamente spinta a tornare in Italia e a proseguire qui il suo lavoro.

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Ora continua la sua attività di medico in attesa di finalizzare il percorso di specializzazione in cardiochirurgia non appena la situazione sanitaria attuale lo consentirà. “È difficile scegliere un traguardo specifico, soprattutto considerando che la mia carriera è ancora agli inizi. Per ora l’essere stata scelta come prima italiana e, nella mia annata, come unica donna, per la junior fellowship in cardiac surgery di Harvard mi ha dato sicuramente molta soddisfazione”, ammette. Negli ultimi tempi, come tantissimi altri sanitari, si è trovata in prima linea di fronte alla battaglia contro il coronavirus. “Ho tutt’ora a che fare con i pazienti Covid-19 positivi. La situazione è davvero complessa. Penso però che l’aspetto più sconvolgente sia il fatto che i pazienti si ritrovino a vivere dei momenti per loro drammatici in totale isolamento, senza la possibilità di avere accanto i propri cari”, confida Annalisa Bernabei. “La medicina di per sé è fondamentale nella lotta alla pandemia e tenta di arginarne gli effetti, ma ci tengo a sottolineare che è il comportamento del singolo individuo a fare la differenza in questa battaglia. Mai come adesso è fondamentale concentrarsi sulla prevenzione mascherine e igiene, sempre e comunque ed evitare di appoggiare false teorie complottiste”.

La cardiochirurgia, come d’altronde tutte le branche chirurgiche, è banco di prova e concreto mezzo di valutazione dell’evoluzione nel campo biotecnologico: “Si cerca di garantire al paziente un risultato ottimale riducendo via via l’invasività delle procedure chirurgiche. La cardiochirurgia robotica ne è un esempio. Vedremo fino a che punto riusciremo a spingerci grazie all’evolversi della tecnologia”.

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