Ray Dalio
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Pugni al capo, spogliarelliste e scommesse contro l’Italia: chi è Ray Dalio, il re degli hedge fund che ha lasciato Bridgewater

Una quindicina d’anni prima di fondare Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, Ray Dalio lavorava come portamazze in un circolo di golf. A Long Island, nello stato di New York, assisteva sul campo alcuni finanzieri di Wall Street, che qualche volta gli lasciavano una mancia. Dalio usò quei soldi per il suo primo investimento: a 12 anni acquistò 300 dollari di azioni della compagnia aerea Northeast Airlines. Poco dopo la società ricevette una proposta di fusione. Il valore del titolo triplicò. “Pensai che fosse un gioco facile”, ha ricordato Dalio in un’intervista al New Yorker. 

Quasi 50 anni dopo avere fondato Bridgewater, Dalio ha lasciato la guida del suo fondo, che oggi gestisce 151 miliardi di dollari. Ha trasferito tutti i suoi diritti di voto al consiglio di amministrazione e ha posto fine a un lungo processo di transizione che, come ha scritto il Financial Times, è diventato “l’emblema del problema della successione nell’industria finanziaria”. Rimarrà nel cda come fondatore e mentore di Bob Prince e Greg Jensen, i due chief investment officer (direttori degli investimenti) della società. “Questo momento”, ha affermato Dalio su LinkedIn, “è il culmine di un viaggio durato 47 anni”.

Cazzotti e spogliarelliste

Ray Dalio, 73 anni, è il figlio di una casalinga e di un musicista italoamericano che suonava clarinetto e sax nei jazz club di Manhattan. Originario del Queens, a New York, è stato, per sua stessa ammissione, “un cattivo studente”, che “non riusciva a imparare a memoria e non amava studiare”. Grazie agli investimenti compiuti quando ancora frequentava le medie e il liceo, però, al momento di iscriversi all’università aveva già in mano migliaia di dollari in titoli.

Uscito con un mba (master in business administration) da Harvard, trovò presto lavoro a Wall Street, come broker per la società Shearson Hayden Stone. Altrettanto in fretta, scrive ancora il New Yorker, lo perse: nel giro di pochi giorni portò una spogliarellista a un incontro con i clienti e, durante una festa di Capodanno, rifilò un pugno al suo capo dopo una lite. Poco dopo, nel 1975, si mise in proprio e fondò Bridgewater Associates in un appartamento di due stanze a Manhattan. Nonostante la scarsa esperienza, convinse alcuni grandi fondi pensione ad affidargli milioni di dollari.

Eliminare l’emozione

Dalio si specializzò in investimenti su fenomeni macro economici. Presto, come ha raccontato a Business Insider, iniziò a formalizzare le lezioni imparate dagli errori e a stilare una lista di principi. “Ho capito che da ogni errore potevo ricavare una perla”, ha spiegato. Iniziò a scrivere regole, le tradusse in algoritmi e li applicò a eventi del passato per verificarne la validità. “Il computer poteva replicare il mio pensiero, ma pensava meglio. Elaborava più informazioni, più in fretta e senza farsi condizionare dalle emozioni”.

Eliminare le emozioni – in fatto di investimenti, ma anche di persone – è diventata la base della filosofia aziendale di Bridgewater. Come ha raccontato il New York Magazine in un ritratto del 2011, la pratica della meditazione trascendentale ha convinto Dalio che “il principale ostacolo tra una persona e il miglioramento è il suo ego fragile”. In azienda vige quindi la dottrina della trasparenza radicale: i dipendenti sono esortati a criticarsi a vicenda, in modo aperto e senza prendere le obiezioni sul personale. Parlare alle spalle di un collega, invece, è vietato. Le conversazioni vengono registrate. Anche dopo l’assunzione bisogna sostenere test sulla comprensione degli assiomi di Dalio – riassunti anche in un libro, I principi del successo – e si viene valutati. Chi commette errori viene sottoposto a sedute di analisi degli errori, paragonate a un tribunale dell’Inquisizione. Gli altri dipendenti possono consultare i verbali dei procedimenti.

Una delle conseguenze è che, come scriveva nel 2018 il Corriere della Sera, il turnover è altissimo: un terzo dei dipendenti lascia entro due anni. Un articolo di Absolute Return + Alpha, rivista americana dedicata agli hedge fund, ha definito la cultura di Bridgewater “brutale” e “demoralizzante”. Chi resiste, però, viene premiato con le feste che Dalio organizza nella sua casa del Vermont. “È come un ragazzo di una confraternita”, ha detto al New York Magazine un ex dipendente a proposito del suo capo, che pure è sposato da più di 40 anni con Barbara, una discendente della famiglia Vanderbilt.

“Una manica di matti del c***o”

La distanza tra Bridgewater e gli altri hedge fund di Wall Street è perfino geografica. Dalio non ha mai spostato il suo quartier generale dai primi uffici che aprì nel 1981: tre edifici di pietra e vetro nei boschi di Westport, nel Connecticut, a un’ottantina di chilometri da New York. “Sono sicuro che a Wall Street siano convinti che siamo completamente pazzi”, ha ammesso al New York Magazine un dipendente. Un dirigente di una società di reclutamento del personale ha confermato: “Sono una manica di matti del c***o”.

Anche la trasparenza radicale vale solo verso l’interno. Nel 2016, in un articolo che raccontava un caso di molestie sessuali all’interno della società, il New York Times affermava: “Il mondo degli hedge fund è riservato, ma Bridgewater si distingue perfino in questo universo”. Un dipendente definì l’azienda “un calderone di paura e intimidazione”. Solo pochi dirigenti conoscono davvero la strategia di investimento. In alcune aree, i dipendenti devono consegnare i telefoni quando arrivano al lavoro.

La grande scommessa contro l’Italia

Nell’anno che si è concluso il 30 settembre, il fondo principale di Bridgewater, Pure Alpha, ha guadagnato il 34,55%. Secondo l’ultima classifica di Forbes, Dalio è la 71esima persona più ricca del mondo, con un patrimonio di 22 miliardi di dollari. È uscito indenne anche dalla Grande Recessione, che riuscì a prevedere già tra il 2006 e il 2007. Nella primavera del 2008 ritirò tutti gli investimenti in Bear Stearns e Lehman Brothers. Bear Stearns fallì la settimana seguente, Lehman Brothers quattro mesi dopo. Bridgewater fu tra le poche società di Wall Street a registrare un utile nel 2008. Per Dalio fu la dimostrazione della bontà del suo modello di investimento, battezzato all weather portfolio: una strategia fondata sulla diversificazione che, secondo il suo ideatore, è in grado di superare tutte le tempeste.

Dalio è apparso sui giornali italiani soprattutto tra il 2017 e il 2018, per una sorta di ‘grande scommessa’ contro l’Italia: in quell’inverno ha venduto allo scoperto le azioni di grandi banche e società, come Unicredit, Intesa Sanpaolo, Enel e Generali. Nei suoi Principi del successo ha sostenuto che “l’interesse personale e quello della società, in generale, sono in simbiosi”. Tre anni fa, però, ha invocato una riforma del capitalismo e, in un’intervista alla Cbs, ha definito “un’emergenza nazionale” la disparità di reddito. “Guardiamo alla storia”, ha detto. “Quando ci sono gruppi di persone in condizioni economiche molto diverse e si verifica una recessione, si scatena un conflitto. Negli anni ’30 quattro grandi paesi democratici scelsero di non esserlo più perché preferivano una guida capace di portare ordine a quel conflitto. Non dico che si vada in quella direzione, ma è un grosso problema. È una cosa ingiusta, improduttiva e che minaccia di dividerci”.

“Finché morirò”

“La transizione di Bridgewater si è conclusa!”, hanno scritto questa settimana i co-amministratori delegati di Bridgewater, Nir Bar Dea e Mark Bertolini, in una mail al personale. “Abbiamo portato a termine qualcosa che è riuscito a poche società o fondatori: la trasformazione da boutique guidata dal fondatore a istituzione duratura”. Il processo di transizione si è concluso dopo più di dieci anni e sei amministratori delegati. Tra questi, una ha fatto causa all’azienda dopo essersene andata, un altro è durato meno di un anno perché “non adatto dal punto di vista culturale”, un terzo ha lasciato per candidarsi al Senato degli Stati Uniti.

Ora Dalio ha scritto su LinkedIn: “Posso immaginare che la mia azienda farà grandi cose ancora per generazioni, senza di me”. Non lascerà però la sua creatura. Forse non lo farà mai. “Spero di continuare, finché morirò, a essere un mentore, un investitore e un membro del cda”, ha detto. A dispetto di quello che diceva un suo dipendente al New York Magazine 11 anni fa: “Se avessi dieci miliardi di dollari, passerei più tempo sul mio yacht e meno tempo a mandare e-mail alle tre del mattino”.

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