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“Oggi sono un padre responsabile come il protagonista di Avatar”: Sam Worthington si racconta a Forbes

Era il 2009 quando il film Avatar di James Cameron debuttò al botteghino con un incasso record di 2,9 miliardi di dollari, consacrando Sam Worthington a una delle più grandi, e più pagate, star hollywoodiane. Ora Sam, che all’epoca aveva 29 anni, ricorda con una certa emozione quel momento che gli cambiò la vita per sempre. “Tutti aspirano al successo, ma non considerano che la celebrità può portare a perdere il controllo della tua vita. Un attore è un imprenditore di se stesso, vive vendendo la sua immagine. Mi sono serviti anni per imparare a gestire il mio business e me stesso come uomo”, confessa apertamente, non nascondendo di aver avuto un pericoloso problema di alcolismo.

“È un problema in cui tutti possono cadere, e molto comune in Australia, il Paese dove sono cresciuto, ma l’importante è riuscire a risollevarsi. Mia moglie mi ha aiutato, perché la famiglia di certo dà stabilità. È stata lei a darmi un ultimatum: è così che ho smesso”.

Dopo otto anni di sobrietà, Sam ha superato la crisi e ha risollevato la sua carriera. Ed è di nuovo protagonista nel sequel Avatar: la via dell’acqua, una produzione da 350 milioni di dollari, che mira, oltre ad appassionare con scene d’azione e avventure spettacolari in 3D e 3D IMAX, a proteggere gli oceani e la natura. Sam si sente un uomo più sicuro di sé, che non teme più le sfide. “L’insicurezza in qualsiasi business, non solo in quello dell’intrattenimento, può essere un vero ‘killer’. Bisogna puntare su se stessi e crederci, non importa se si trovano ostacoli, si deve andare avanti fino a che non si raggiunge il proprio obiettivo. E, soprattutto, bisogna cercare di non curarsi di quello che pensano gli altri o che la gente dice di te. È importante non ascoltare tutto il “rumore” intorno, ma restare focalizzati sul proprio lavoro”.

Stavolta, in Avatar: The Way of Water, Sam, nei panni dell’ex marine Jake Sully, in questa meravigliosa saga fantascientifica su un pianeta straordinario, ha messo su famiglia. E lotta ancora per proteggere questo mondo magico a cui si sente indissolubilmente legato. La sua partner sul set, come nel primo film, è Zoe Saldana (nota per Guardians of the Galaxy, i film di Avengers, e al momento su Netflix anche nella serie From Scratch, ambientata tra Los Angeles e l’Italia e prodotta da lei e da Reese Witherspoon). Nel cast ci sono anche Sigourney Weaver e Kate Winslet, che avevano già lavorato rispettivamente con James Cameron in Aliens – Scontro finale e in Titanic. 

Come è stato realizzare Avatar: la via dell’acqua?

È stato molto impegnativo, perché le riprese, cominciate nel 2017, sono durate cinque anni e abbiamo dovuto recitare molte scene sott’acqua. Le riprese hanno avuto luogo per lo più in un’enorme vasca (lunga 120 piedi, larga 60 e profonda 30), costruita a Manhattan Beach, presso Los Angeles. Quindi il tutto ha richiesto una grande preparazione fisica oltre che mentale. Molto spesso la gente non sa quanto lavoro fisico gli attori debbano fare, non sono sempre sostituiti dagli stuntman. Io sono avventuroso, non ho paura di nulla, quindi mi sono pure molto divertito. Abbiamo anche girato già molte diverse altre sequenze che il regista spera di usare per il futuro per continuare questa saga. Quindi speriamo tutti che la storia vada avanti. Fino al 2027-2028, dovrebbero essere previsti altri quattro film. 

Cosa pensa della tecnologia nel film? James Cameron ha basato tutta la sua carriera anche sull’innovazione. 

La tecnologia, gli effetti speciali vi stupiranno e ammalieranno, perché sfidano le barriere del futuro, tra avatar e una possibile e meravigliosa realtà virtuale e parallela. Cameron e la sua troupe hanno perfino sviluppato una tecnologia che ha permesso di eseguire il lavoro di performance capture sott’acqua. Io e gli altri attori abbiamo dovuto imparare a lottare e a fare espressioni del viso sott’acqua. La magia nasce proprio dall’emozione, da come Cameron è capace di farti sentire umano anche nel mezzo di una grande produzione, da come sia in grado di creare un’incredibile collaborazione tra tutti gli attori e il team.

Come sente cambiato il suo ruolo rispetto al primo film?

Quando mi scelsero per il primo film Avatar, avevo finito tutti i miei soldi facendo audizioni, vivevo e dormivo praticamente nella mia macchina. Ero talmente arrabbiato e frustato all’audizione che improvvisai le battute. Mai pensavo mi avrebbe scelto, al punto che andai a fare trekking sulla cima di una montagna, dove il mio telefono non prendeva. La produzione impiegò giorni per trovarmi e comunicarmi che Cameron mi voleva. Adesso, le cose sono molto cambiate. Ho molto in comune col mio protagonista. Anch’io sono un padre (ha tre figli, di cui l’ultimo nato nel 2020, con la modella Lara Bingle, ndr) e come lui ho una vita più tranquilla. Nel primo Avatar ero un guerriero senza paura, ora le mie scelte sono mitigate dalla responsabilità di essere un padre prima di tutto e di dover pensare al benessere e alla salute dei miei figli e della comunità. Come il titolo suggerisce, molta parte del film ha luogo sott’acqua. Il film è anche una vera ‘lettera d’amore’ agli oceani e alla loro tutela. 

Lei è australiano d’origine. In Australia il rispetto per la natura e l’ambiente sono insegnati fin dall’infanzia… 

Sono nato nel Surrey da genitori inglesi, che si trasferirono a Perth, nel Western Australia, quando avevo solo sei mesi. In Australia esiste una profonda coscienza ambientalista, un grande rispetto per la natura e gli animali. Anche perché nel mio paese è Madre Natura a dominare su tutto, l’ambiente è ancora molto selvaggio. Mi sento molto legato all’Australia e mi piace anche il modo di lavorare e vivere là. Gli australiani sanno godersi la vita e hanno un maggiore equilibrio tra carriera e vita privata. Praticano molti sport, come il surf, e la vita all’aria aperta è un must là. 

Lei è da sempre un appassionato surfista… 

Spesso mi piace paragonare la vita a una grande onda: se non prendi per il verso giusto e non riesci a cavalcarla ti può portare sul fondo dell’oceano. Ma il segreto è imparare a nuotare per tornare alla superficie. Al principio della mia carriera mi tormentavo nella ricerca per il personaggio che dovevo interpretare. Poi persi il ruolo di James Bond che pareva sicuro e scelsero Daniel Craig. Persi anche un’altra parte in un film di supereroi che andò a Ryan Reynolds. Fu allora che mi resi conto che non esiste una formula precisa nella professione d’attore, non funziona come un algoritmo. Per questo credo che l’onda è pure un’ottima metafora per il mondo di Hollywood, dove ci sono tanti altri come te che cercano di saltare sull’onda giusta. Per avere successo bisogna diventare maestri nel saperla cogliere e dominare. 

In quali altri progetti la vedremo presto? Negli ultimi anni si è diviso tra grandi blockbuster come Terminator Salvation, Scontro tra titani e ruoli più drammatici come per Hacksaw Ridge, The Shack, Manhunt: Unabomber, mentre ha lavorato pure come produttore esecutivo per la miniserie Deadline Gallipoli e nel 2022 ha recitato nella miniserie true crime In nome del cielo.

Insieme a Kevin Costner sarò in Horizon, una serie di film ambientati nel West prima e dopo la guerra civile. È un’altra storia di avventura che mi appassiona molto. Ammiro tantissimo Kevin come uomo e attore. Mi ha anche insegnato a essere umile. Quando avevo trent’anni ero molto arrogante, crescendo mi sono calmato e ho imparato a gestire meglio la celebrità, ma soprattutto le persone con cui circondarmi. Avere gente di fiducia accanto è un’arma vincente per avere un successo stabile e duraturo nella propria carriera. 

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