Responsibility

Sistema scolastico vecchio e mancanza di competenze digitali: le difficoltà di collegamento tra formazione e imprese

Articolo tratto dal numero di gennaio 2023 di Forbes Italia. Abbonati!

Tra il sistema formativo e le imprese c’è discontinuità. Se nelle aziende la transizione verde e digitale corre e mischia le carte dei processi e delle competenze, nella scuola e nell’università il passo è più lento. Non solo per i cronici vincoli burocratici che frenano l’innovazione, ma anche perché è mancata la consapevolezza politica e istituzionale – e quindi la visione – che questa sintonia è vitale per la crescita economica e sociale del Paese. Monica Poggio è vicepresidente di Assolombarda per l’università, la ricerca e il capitale umano, presidente di Ahk Italien (la Camera di commercio italo-germanica), presidente della Fondazione Its Lombardia Meccatronica e amministratore delegato di Bayer Italia. Il suo è quindi un punto di vista ideale per affrontare questo tema.

La mancanza di competenze è un fattore critico per la crescita delle imprese. Come intralcia lo sviluppo?

La transizione digitale sta imprimendo una forte accelerazione ai cambiamenti organizzativi delle aziende e l’offerta formativa ed educativa non è ancora pienamente sincronizzata. La mancanza di personale qualificato è una delle criticità che le imprese affrontano e rimane una priorità, assieme alla gestione delle sfide legate all’energia e agli approvvigionamenti di materie prime.

È come se il sistema formativo fosse asincrono rispetto ai percorsi tecnologici o di innovazione delle aziende, che, perciò, sono poco attratte dalle università. Così si crea discontinuità.

Il nostro sistema educativo non ha sempre mostrato una capacità di dialogo puntuale con il mondo delle imprese. Ci sono stati progressi, maggiore apertura e confronto con le esigenze del mondo produttivo. La connessione con il mercato del lavoro, tuttavia, presenta ancora gap che sarebbe auspicabile colmare, per far incontrare meglio domanda e offerta. Un orientamento più strutturato e una riprogettazione delle attività orientative nei percorsi scolastici potrebbero essere tra i primi interventi da attuare. Le aziende, d’altro canto, proprio per le trasformazioni che stanno affrontando e le nuove esigenze che emergono nel confronto con i giovani, stanno rivisitando la propria organizzazione e i processi di gestione e sviluppo delle risorse umane. Una grande sfida su entrambi i fronti.

Qual è la situazione rispetto agli altri paesi europei?

I dati relativi ai laureati e diplomati di fascia terziaria della Lombardia, confrontati con quelli di altre regioni motori d’Europa (per esempio Baviera e Catalogna), presentano ancora un discreto divario. Un altro trend da monitorare è quello dei cosiddetti neet (not in education, employment or training): il numero delle persone inattive nella fascia tra i 15 e i 29 anni, sia dal punto di vista formativo che della ricerca di occupazione, è fra i più alti in assoluto in Europa. La dispersione scolastica e professionale è penalizzante per i giovani e per il sistema economico italiano. Non è solo una questione generazionale: dobbiamo prepararci ad affrontare anche un’importante transizione demografica. Da una parte, la popolazione italiana sta invecchiando. Dall’altra, non ci sono abbastanza giovani. Dobbiamo quindi comprendere i bisogni delle nuove generazioni e supportarle nell’orientamento, perché possano effettuare scelte, di studio prima e professionali poi, consapevoli delle opzioni disponibili.

La sensazione è che non ci sia stata una vera progettazione dal punto di vista politico e istituzionale dei percorsi di apprendimento, ma si sia andati a tentoni.

È mancata la consapevolezza della necessità di un cambiamento culturale rispetto alla progettazione educativa e formativa. Il nostro sistema scolastico è figlio di riforme di altre epoche che hanno portato, per esempio, verso una maggiore ‘liceizzazione’: più del 50% dei ragazzi in uscita dalle scuole medie si iscrive al liceo, penalizzando così l’istruzione tecnica, considerata in qualche modo minore. Gli altri paesi, invece, hanno investito molto di più sulla formazione di competenze specifiche e tecnico-professionali, perché culturalmente vissuta e accettata in maniera diversa. Viviamo in un paradosso: da una parte le aziende cercano personale, ma non trovano i profili di competenza richiesti; dall’altra parte i giovani cercano lavoro, ma non lo trovano in linea con la loro preparazione.

Ci sono settori in cui questa discontinuità è più forte che in altri?

Alcuni settori hanno e avranno un fabbisogno elevato di competenze di personale qualificato. Per esempio il commercio e il turismo, settori tra i più penalizzati dalla pandemia. Poi finanza e consulenza, anche perché sempre più focalizzate su transizione digitale e green economy. Penso anche alla salute, alla filiera manifatturiera e alle infrastrutture.

La lenta transizione digitale accentua queste difficoltà: il nostro è un paese periferico nei processi dell’innovazione globale.

Dobbiamo investire di più in competenze digitali per colmare il divario e rispondere rapidamente e adeguatamente al fabbisogno di risorse, per essere competitivi col resto d’Europa e del mondo. Il punto di partenza è favorire e rinforzare un modello di dialogo pubblico-privato. Cito la Germania, dove formazione e ricerca procedono a stretto contatto con aziende e istituzioni, in un modello di dialogo aperto, che ascolta i bisogni del territorio e raccorda le filiere produttive. In questo modo sono possibili una progettazione formativa coerente e una rimodulazione della didattica, meno teorica e più di laboratorio. Ecco le basi del sistema duale, dell’alternanza tra aula ed esperienza sul campo.

Molte fanno un po’ il fai da te, cioè si organizzano per formare le competenze che servono come manager di una grande impresa. Una strada praticabile?

Non lo definirei fai da te. Ci sono aziende più strutturate che hanno academy interne e capacità di progettazione e attuazione di programmi formativi mirati. Le aziende non sempre trovano un’efficace risposta dai canali educativi tradizionali e di conseguenza reindirizzano le attività di training interne per formare i profili di competenza richiesti.

Come si fa a garantirsi occupabilità in un sistema che cambia con questa rapidità?

Le persone già inserite nel mondo del lavoro devono continuare ad aggiornare le loro competenze e le aziende devono mettere a disposizione percorsi di formazione continua. Il lifelong learning è un elemento chiave per sostenere l’organizzazione da un lato e l’occupabilità dei lavoratori dall’altro, in una prospettiva il cui arco temporale si è molto allungato rispetto al passato ed è caratterizzato da continui cambiamenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .