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Leader

“Il capo perfetto non esiste. In un cv? Guardo anche gli insuccessi”. La leadership secondo Claudia Parzani

“Sono certa che siamo tutti d’accordo: la leadership perfetta non esiste. Probabilmente, l’approccio più efficace è quello del leader situazionale, una figura in costante mutamento capace di adattarsi alle persone con cui si interfaccia, al contesto e alle sfide”. Sono le parole di Claudia Parzani, presidente di Borsa italiana e partner di Linklaters, attuale vice presidente de Il Sole 24 Ore e per 5 anni, dal 2017 al 2022, presidente di Allianz. Insomma, non di certo una manager come tante.

Cosa significa essere un leader per Claudia Parzani

“Il mio concetto di leadership”, ci ha spiegato nel corso del primo panel della Forbes Women’s Week tenutosi nella sede milanese di Bain & Company, “è legato al contesto e al momento: oggi abbiamo bisogno di leader intelligenti, capaci di ascoltare. Ci troviamo in ambiti lavorativi che stanno vivendo la difficoltà di attrarre le nuove generazioni: in questo caso, c’è bisogno un leader empatico, camaleontico”.

Ognuno ha ovviamente le sue caratteristiche, ha proseguito Parzani: dobbiamo capire dove diamo il meglio di noi e in quale contesto, invece, ammettere con umiltà di non essere capaci. Non è più tempo di fare distinzioni di genere; quello che possiamo fare è scegliere persone più competenti di noi, quelle dalle quali possiamo apprendere qualcosa.

A tal proposito, se c’è un ingrediente fondamentale per dimostrare la propria competenza questo è la credibilità: “Ti permette di sconfinare. La credibilità è la capacita di essere sinceri nel dimostrare le proprie competenze. È metterci la faccia, la reputazione”.

Come superare lo ‘stigma’ del fallimento cogliendo nuove opportunità

Qualche anno fa, su LinkedIn Parzani scriveva: “Oggi agli occhi di tutti ho perso. In effetti, non ho avuto il ruolo da senior partner di Linklaters. Io però in fondo al cuore so che ho vinto un altro miglio nella legacy della mia vita, quella per l’inclusione, per le opportunità per tutti.

Per tutti quelli che sognano di arrivare in cima con i propri talenti. Per chi parte da un piccolo paese e da una famiglia normale, senza conoscere un avvocato o le lingue, e arriva a competere nella sua seconda lingua per il posto più in alto che ci sia. E’ più facile decidere di non correre, arrendersi prima di partire, accampare una scusa o lamentarsi per gli ostacoli che troveremo…”.  Quel post ha ricevuto il consenso di oltre 3mila persone.

I paradigmi imposti dalla società ci stanno facendo vivere in una ‘bolla’

Interrogata sul concetto di fallimento, e il relativo ‘stigma’ che lo accompagna in Italia, la manager ha spiegato di insegnare alle sue figlie a concepire una “mancata corsa” come qualcosa di normale. “Secondo me stiamo vivendo in una ‘bolla’: quando guardiamo la carriera di una persona pensiamo sempre sia stato tutto semplice, lineare. Se si guarda il mio esempio, dalla presidenza di Allianz sono arrivata a quella della Borsa, ma in realtà tra questi due successi sono accadute tante altre cose, alcune andate bene e altre meno”, spiega.

D’altra parte, prosegue, in questa società ci viene spesso chiesto di cambiare (i nostri paradigmi, modelli), e spesso non lo facciamo per paura di sbagliare, e quindi fallire. Se sbagliamo, ci sentiamo automaticamente dei falliti. Questo non può essere però il sistema che trasmettiamo ai giovani.

Alla Luiss con una lectio magistralis sull’Elogio dell’insuccesso

Quest’anno, per la Fondazione Guido Carli, Claudia Parzani ha tenuto una lectio magistralis sull’Elogio dell’insuccesso. “Alla Luiss ho raccontato di me: dell’esame di avvocato non passato, del primo lavoro durato un giorno… Nel caso di Linklaters sono stata chiamata a concorrere per la posizione più alta. Non aveva mai ‘corso’ qualcuno che non fosse inglese, io ero inoltre un avvocato di finanza, non corporate.

Ho capito che nella vita ci sarà sempre “un altro migliore di te”: ma alla fine cosa rimane? La medaglia che non hai preso o il fatto di averci provato? Da quel momento ho iniziato a combattere questa ‘battaglia dell’insuccesso’. Soprattutto per i ragazzi: gli stiamo vendendo una vita piena di ansia. Io ho 3 figlie e per molti anni non ho portato a casa le pagelle: era ovvio che avrebbero avuto talenti e competenze diverse. È stato il mio modo per evitare loro la pressione sociale. Ci stiamo perdendo tutto chiudendoci in gabbie immaginarie”.

“Cosa guardo in un cv? Gli insuccessi e l’impegno sociale”

Da sempre molto appassionata di inclusione e temi sociali, Claudia Parzani è membro dell’organo consultivo di UNHCR Italia, siede nel Comitato Scientifico di Parks – Liberi e Uguali (associazione nata per favorire la diversità nei luoghi di lavoro) e presiede il Consiglio Strategico della Fondazione Italia per il dono onlus – F.I.Do (organizzazione che promuove la cultura del dono).

Ha fatto parte e presieduto (dal 2013 al 2016) il Consiglio Direttivo di Valore D, associazione con cui, insieme ad altri partner, ha strutturato e lanciato il progetto “In the Boardroom” dedicato a preparare le professioniste di talento per il ruolo di componente degli organi sociali. È inoltre fondatrice di Breakfast@Linklaters, network di esponenti della business community femminile e ambasciatrice per l’Italia della campagna internazionale “Inspiring Girls” per promuovere e supportare il giovane talento femminile.

Ma quando le capita di esaminare un curriculum, quali sono le competenze, e quali i punti di forza che la colpiscono per prima? A questa domanda ha risposto così: “Oggi noto che i curriculum si assomigliano troppo, sono spesso molto vicini…Io nel mio curriculum ho messo gli insuccessi: sfido chiunque ad averlo fatto. Ho messo, ad esempio, di essermi confrontata con tre persone per diventare capo mondiale di Linklaters. Magari a qualcuno interessa che ho avuto il coraggio di provarci, e come ho affrontato la sconfitta”.

Ma quello che mi colpisce di più nei curriculum, ha aggiunto, è la parte sociale: nella mia vita faccio mille cose di natura sociale. Amo quindi i cv che sanno mixare il terzo settore con il business perché credo che le competenze di cui abbiamo bisogno siano le più variegate.

“Nel 2020, quando avevano chiuso per il Covid l’Italia, ero tornata da poco dai campi rifugiati in Giordania. Ecco, in quel momento di grande difficoltà, le competenze che ho sfruttato di più erano quelle apprese in quei contesti (emergenza, zero risorse). Quindi quello che dico ai ragazzi è: quando guardo un curriculum devo pensare che non ne troverò un altro uguale”.

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