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Ecco come questo medico ha fatto della cura del piede un’attività imprenditoriale

di Paola Arosio

“Mi chiami giovedì, verso le tre del pomeriggio, sarò in aeroporto in attesa di un volo e potremo fare una chiacchierata con calma”. Già dal primo contatto si intuisce che Nicola Del Bianco, ortopedico e imprenditore, è una persona dinamica, abituata a destreggiarsi tra un appuntamento e l’altro, con un’agenda sempre piena.

Lei ha introdotto in Italia una tecnica innovativa per il trattamento dell’alluce valgo senza l’utilizzo di mezzi di sintesi. In che cosa consiste?

L’intervento, ideato dal podoiatra Stephen Isham, avviene in percutanea e dura circa 15 minuti. Prevede l’esecuzione, in anestesia locale, di due micro-incisioni cutanee nel piede, attraverso le quali viene introdotta una particolare fresa, montata su una turbina a motore, che permette di regolarizzare il profilo metatarsale eccedente. Il tutto è poi stabilizzato con un bendaggio funzionale, che viene rimosso dopo 15-20 giorni. Grazie a un’apposita calzatura post-operatoria brevettata, il paziente è in grado di appoggiare il piede e di camminare subito dopo l’operazione. Tale precoce mobilità è associata a una riduzione del dolore dell’80% rispetto all’intervento tradizionale. Inoltre, dopo due mesi l’assistito può riprendere le consuete attività, incluse quelle sportive”.

La tecnica è usata per trattare l’alluce valgo, ma non solo…

Esatto, è indicata per tutte le deformità dell’avampiede e del retropiede, come metatarsalgia, dita a martello, spina calcaneare. Si tratta di un settore ultra-specialistico.

Questo ambito clinico è stato declinato in un progetto imprenditoriale. Come siete organizzati oggi dal punto di vista logistico?

Abbiamo aperto il primo ambulatorio vent’anni fa a Macerata, nelle Marche, e da quel giorno ho attivato collaborazioni con oltre 35 ambulatori in quasi tutte le regioni italiane, escluse la Calabria e il Friuli Venezia Giulia. Quest’anno abbiamo esportato il progetto anche all’estero, coinvolgendo Emirati Arabi, Kuwait, Bahrain. Siamo anche titolari di un contratto in Francia e di un altro in Gran Bretagna, ai quali dare seguito.

Quali differenze ravvisate, nel vostro lavoro, tra il nostro Paese e le nazioni estere?

In Italia operiamo sia in convenzione con il Servizio sanitario nazionale sia privatamente, mentre all’estero tutti gli interventi vengono svolti privatamente. Tuttavia, oltre confine, soprattutto in Emirati Arabi, Kuwait, Bahrain, tutte le strutture sanitarie sono altamente qualificate e all’avanguardia dal punto di vista tecnologico.

Di quanto personale disponete?

Attualmente collaboro in ogni regione con numerosi specialisti (ortopedici, chirurghi generali, podologi, tecnici della riabilitazione), che si occupano di monitorare i pazienti nel decorso post-operatorio.

Quanti pazienti trattate in media?

Finora abbiamo trattato in totale circa 60mila persone. Considerando che operiamo in media un paziente su tre, significa che abbiamo visitato circa 180mila assistiti.

Il paziente-tipo?

Soprattutto donne di età compresa tra i 50 e i 60 anni.

I vostri progetti per il prossimo futuro?

Prevediamo di acquisire cliniche di proprietà dedicate alla cura del piede, dotate di sale operatorie, camere di degenza, locali adibiti alla riabilitazione. Le prime strutture dovrebbero aprire i battenti in Lombardia o in Svizzera, nell’area di Lugano, tra il 2024 e il 2025. Siamo in attesa di ricevere dei fondi da alcuni investitori di Abu Dhabi: se ciò andasse in porto, ci sarebbe una svolta nell’intero progetto, che andrebbe incontro a una notevole accelerazione.

Quali consigli darebbe a chi volesse intraprendere un percorso imprenditoriale nel settore medico?

Le chiavi sono l’unicità e l’alta specializzazione, solo così c’è innovazione in medicina. Ovviamente a monte di tutto ciò ci sono anni di studio e di sperimentazioni, seguiti da un follow-up che consente di decretare l’effettivo successo di una tecnica innovativa. Abbiamo avuto un grande riscontro positivo perché siamo stati i primi.

Essere i primi ha però implicato anche molte sfide…

Certo, perché molte sono state le voci e i pareri contrari. Abbiamo dovuto superare lo scetticismo iniziale, che nel settore della salute è sempre elevato, ma soprattutto bypassare il monopolio delle aziende produttrici di mezzi di sintesi, che avevano sponsorizzato la tecnica tradizionale come l’unica in grado di correggere le deformità del piede.

Quanto contano, nel vostro business, le attività di marketing, promozione, comunicazione?

Sono fondamentali. Il passaparola è importante, ma conta molto anche il marketing attraverso tv, giornali e soprattutto social. Il nostro canale Instagram è seguito da 170mila persone, Facebook da 80mila, TikTok, aperto nell’aprile 2023, da 40mila. Numeri di rilievo, che si traducono in risultati concreti, alla luce dei quali vale la pena investire risorse pubblicitarie sui social, anziché su altri mezzi.

Avete uno staff o un’agenzia di comunicazione esterna che si occupa di questi aspetti?

Certamente, ci siamo avvalsi della società Hook Communication di Francesco Facchinetti, che ci ha aiutati molto a crescere e a farci conoscere. Quattro anni fa, con lo stesso Francesco e con Michele Colazzo, abbiamo aperto la società Doctor Who, che si occupa di prestazioni sanitarie. Lo stesso stiamo cercando di fare all’estero, dove abbiamo esportato il nostro modello, che rappresenta una novità.

Facciamo un passo indietro: qual è stata la sua formazione? E i suoi primi passi nel lavoro?

Sono laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Bologna, ho svolto la Scuola di specializzazione in Ortopedia e Traumatologia all’Università dell’Aquila. Per due anni e mezzo ho lavorato nella clinica mobile del MotoGp fondata nel 1977 dal dottor Claudio Costa. Poi mi sono spostato a Civitanova Marche per lavorare in clinica, dove ho avuto la fortuna di conoscere la tecnica percutanea. Da qui è nato tutto.

Ci racconti allora l’inizio del percorso…

All’inizio non è stato facile, non avevo la possibilità di fare investimenti e nemmeno la mia famiglia poteva darmi una mano. Così mi sono adattato, ho fatto dei sacrifici, ho stretto i denti e sono andato avanti senza arrendermi. Poi sono arrivati i primi risultati, i primi pazienti operati hanno ottenuto ottimi esiti sia nel breve, sia nel lungo periodo e sono rimasti soddisfatti. C’è stata così una graduale escalation, che ha portato a moltiplicare le sedi e ad assumere personale.

Ci è voluto anche del coraggio…

Senza dubbio. Ho rifiutato l’assunzione all’ospedale Rizzoli di Bologna e alla clinica di Civitanova Marche e mi sono messo in gioco senza sapere a cosa sarei andato incontro. Un’incognita, un salto nel buio, di fronte ai quali, se non si è sufficientemente convinti e determinati, si rischia di crollare.

Da dove è nata la sua mentalità imprenditoriale?

La famiglia di mia madre era attiva nel settore calzaturiero a Montegranaro, in provincia di Fermo, la patria delle scarpe. Quindi la mentalità dell’imprenditore in casa è sempre circolata. Tra l’altro il business della chirurgia ortopedica ha portato con sé anche un business collaterale. È stata infatti creata due anni fa la società Artomed dedicata allo sviluppo di strumenti per effettuare l’intervento e di accessori per la cura del piede, come scarpe post-operatorie, una linea di creme acquistabili online o nelle cliniche, integratori di calcio e vitamina D. Questo comparto ha un valore complessivo di circa 600mila euro. Oltre a ciò, due volte al mese vengono organizzati dei pullman che danno modo ai pazienti, che devono effettuare l’intervento e che hanno difficoltà nello spostarsi autonomamente, di partire dalla Puglia per raggiungere Milano.

Insomma, intorno all’intervento chirurgico in sé avete costruito un mondo…

Sì, focalizzandoci non solo sull’eradicazione di una malattia, ma sulla celebrazione di un nuovo inizio, destinato a migliorare ogni aspetto della vita dei pazienti.

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