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Il cambiamento climatico causerà danni per 10 miliardi all’anno in Italia entro il 2050

L’Italia potrebbe subire ogni anno circa 10 miliardi di euro di danni agli asset strategici entro il 2050 a causa dei rischi generati dal cambiamento climatico. È questo uno dei dati più allarmanti emersi da una ricerca di Bain & Company Italia durante la seconda edizione dell’Esg Ceo Forum, che anticipa l’appuntamento della COP28.

I danni economici generati dal cambiamento climatico

Focalizzata sullo stato della transizione climatica in Italia, la ricerca si è soffermata su azioni, soluzioni e iniziative concrete che istituzioni e settore privato possono adottare per poter raggiungere gli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sul clima. Dal report”, spiega Roberto Prioreschi, Semea regional managing partner di Bain  & Company, “emerge che – al ritmo attuale del percorso verso la transizione – l’Italia difficilmente riuscirà a raggiungere gli obiettivi climatici europei prefissi al 2030 e a mettere a segno un futuro a zero emissioni entro il 2050. Solo il 15% delle emissioni dichiarate dalle aziende italiane, infatti, è coperto da obiettivi di decarbonizzazione con basi scientifiche in linea con l’Accordo di Parigi”.  

Non è tutto. Come spiega Pierluigi Serlenga, managing partner Italia di Bain & Company, “nell’area mediterranea, l’Italia risulta un hub particolarmente vulnerabile ed esposto ai rischi legati al cambiamento climatico. La vulnerabilità del territorio potrà arrivare a generare danni annuali di oltre 10 miliardi di euro agli asset strategici entro il 2050. Se non adottiamo misure in modo proattivo e urgente, l’Italia potrebbe subire perdite e danni diffusi: si stima che, al 2050, quasi un terzo della popolazione del Paese vivrà in aree soggette a minacce significative, con una perdita prevista di 4,5 miliardi di euro di produttività agricola”.

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Come raggiungere gli obiettivi

Come evidenzia la ricerca, raggiungere gli obiettivi net zero è una sfida complessa per l’Italia, che potrà essere realizzata esclusivamente bilanciando il sostegno finanziario e normativo. Se il settore pubblico e quello privato riusciranno a cooperare, il Paese avrà maggiori possibilità di raggiungere le proprie ambizioni in materia di lotta al cambiamento climatico. 

Abbiamo intervistato”, continua Prioreschi, “i vertici di 15 delle principali aziende italiane attive in diversi settori cruciali per lo sviluppo del Paese – A2A, Autostrade per  l’Italia, Edison, Enel, Erg, Hera, Iren, Iveco, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Mundys,  Saipem, Snam, Tenaris, Terna, WeBuild – e identificato insieme a loro una serie di azioni prioritarie per poter fronte a questa sfida. I settori pubblico e privato, infatti, devono riconoscere la gravità della situazione e iniziare collettivamente a  intraprendere un percorso di cambiamento”.

Che cosa possono fare pubblico e privato

In particolare, per il settore pubblico, ciò significa accelerare programmi e iniziative nazionali per il clima, investire in infrastrutture sostenibili e integrare i criteri di sostenibilità nei processi di appalto. Per il settore privato, invece, si tratta di aumentare il monitoraggio e la divulgazione delle emissioni, definire target di riduzione science-based e incorporare le ambizioni in termini di net zero nella pianificazione aziendale, sfruttando la sostenibilità come vantaggio competitivo. 

“Accelerando sulla decarbonizzazione, le aziende non riducono soltanto le proprie emissioni: attraggono investimenti, accedono a nuovi mercati e trattengono i propri talenti. Interventi tempestivi e strategici sono necessari per mantenere gli impegni presi a livello europeo e salvaguardare il futuro dell’Italia”, conclude Serlenga

L’evento ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Federico Boschi, responsabile dipartimento energia di Mase; Julian Critchlow, advisory partner di Bain & Company; Pierroberto Folgiero, ceo di Fincantieri; Davide Grasso, ceo di Maserati; Emanuela Trentin, ceo di Siram Veolia; Stefano Venier, ceo di Snam. 

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