Articolo tratto dal numero di dicembre 2023 di Forbes Italia. Abbonati!
“Il futuro sostenibile non è di chi lo immagina, è di chi lo fa”. Il motto – di concretezza bergamasca – intesta l’ultimo bilancio di sostenibilità di RadiciGroup. Un libro di 169 pagine, vestito dei colori della natura, essenziale per forma e parole: la narrazione si àncora a numeri e infografiche che chiariscono, anche a colpo d’occhio, l’attenzione alla sostenibilità del gruppo di intermedi chimici, polimeri di poliammide, tecnopolimeri ad alte prestazioni e soluzioni tessili avanzate. Una multinazionale guidata dai fratelli Angelo, Maurizio e Paolo Radici, con quartier generale a Gandino, tra le cime di Bergamo, presente in 15 paesi, con 3.100 dipendenti e oltre 1,5 miliardi di euro di fatturato nel 2022.
L’azienda ha avviato una serie di iniziative per centrare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite. Ne parliamo con Angelo Radici, presidente di RadiciGroup e artefice di un percorso partito tempo fa.
Il 59% dell’energia che consumate viene da fonti rinnovabili. Ora che traguardi vi date?
Alzeremo l’asticella entro il 2030, incrementando ancora la percentuale di energia elettrica da fonte rinnovabile attraverso partnership strategiche e soluzioni tecnologiche proprie. Stiamo già implementando il fotovoltaico, per esempio a Isola Dovarese, in provincia di Cremona. In un’area industriale dismessa stiamo realizzando un impianto fotovoltaico di 40mila metri quadrati, che produrrà circa cinque milioni e mezzo di kilowattora all’anno. Da sempre siamo attenti all’acqua. A livello industriale la usiamo solo per processi di raffreddamento degli impianti, impiegando la stessa acqua fino a 60 volte, per poi reimmetterla nei fiumi in condizioni controllate, garantendo la biodiversità. A livello energetico, l’acqua alimenta le centrali idroelettriche che forniscono energia alle nostre aziende. Certo, veniamo da lunghi periodi secchi, con picchi nell’estate del 2021, alternati a momenti di piogge torrenziali. Per fronteggiare i cambiamenti climatici servirebbero bacini di contenimento dell’acqua e tutte le infrastrutture per evitare sprechi e garantire un corretto utilizzo di questa risorsa. È un tema urgente.
Siete presenti anche in paesi meno attenti di quelli europei alla sostenibilità. In Cina, per esempio, come siete percepiti? Come un modello da seguire o come un intralcio perché dimostrate che cosa si potrebbe fare?
La Cina è un paese dalle grandi contraddizioni: pianifica stabilimenti a carbone e al contempo è leader nella mobilità elettrica. Al netto di questo, mi sembra che siamo percepiti come un esempio.
Altro tema: il riciclo dei rifiuti.
Fatico a pronunciare questo termine perché per noi gli scarti sono da sempre risorse. Da oltre 40 anni ci occupiamo di riciclo e da un paio d’anni abbiamo anche una società dedicata, la Radici EcoMaterials, che recupera il materiale post industrial e post consumer.
Facciamo un esempio concreto.
Se abbiamo cascami di nylon delle nostre filature, li recuperiamo e li sottoponiamo a operazioni di riciclo meccanico, per dare vita a un nuovo granulo che, in funzione delle sue caratteristiche tecniche, ritrasformiamo in filo o in tecnopolimero.
Avete messo in campo sistemi di misurazione dell’impatto ambientale del prodotto. Parliamone.
La maggior parte dei nostri prodotti è misurata attraverso la metodologia Lca (life cycle assessment) per rendicontare e verificare l’impatto dei materiali lungo il ciclo di vita. La tracciabilità è un tema fondamentale per aziende ingredient e made in Italy come la nostra. Auspichiamo però che questa sfida venga raccolta il più velocemente possibile da tutte le filiere, dall’abbigliamento all’automotive, per portare un’informazione adeguata al consumatore finale. Siamo poi stati scelti da Unece (United Nations Economic Commission for Europe) per realizzare un progetto rappresentativo di tracciabilità delle fibre tecniche, come nylon da recupero, all’interno della loro piattaforma. Lo abbiamo descritto di recente anche durante il Monitor for Circular Fashion di Sda Bocconi.
Quanto sta facendo il mondo della moda e quanto potrebbe fare per essere più sostenibile?
C’è ancora molto da fare, però è innegabile il crescendo di sensibilità verso questo tema. Lo dimostrano anche le normative europee, sempre più indirizzate ad assicurare trasparenza, misurazione e consapevolezza lungo tutta la filiera. Collaboriamo con marchi importanti per offrire al mercato soluzioni di qualità e rispettose dell’ambiente e delle persone. Stiamo facendo anche importanti progetti di ricerca e sviluppo sul riciclo dei capi, dimostrando che il tessile può essere più sostenibile.
Veniamo alla gestione sostenibile dei dipendenti. Partiamo dalle nuove leve. Come colmate la distanza tra la formazione fornita dalla scuola e le esigenze di un’azienda che cavalca la quarta rivoluzione digitale?
Con lunghe semine. Abbiamo sviluppato il progetto Education per instaurare e rafforzare relazioni tra il gruppo e le istituzioni scolastiche sul territorio. Per esempio, qualche settimana fa siamo andati nel liceo Mascheroni di Bergamo per parlare di sostenibilità e avvicinare gli studenti a questo tema. Offriamo stage aziendali, universitari ed extracurricolari, visite, lezioni e incontri con gli imprenditori del territorio, colloqui di orientamento con il management di RadiciGroup e webinar formativi condotti da esperti. Trovo poi molto efficace la collaborazione con gli Its, percorsi formativi fondamentali che andrebbero sostenuti sempre di più.
C’entra in tutto questo il progetto Polymer Valley?
Sì, stiamo collaborando a questo progetto voluto dal gruppo Materie plastiche e gomma di Confindustria Bergamo. Si va nelle scuole del territorio per creare consapevolezza sul mondo della plastica, tocchiamo temi che vanno dallo smaltimento alla sostituibilità, fino alle alternative e prospettive della plastica e della gomma. Questo comparto è tra i più significativi e avanzati della nostra provincia. RadiciGroup mette a disposizione le proprie competenze e i propri spazi aziendali per visite e approfondimenti.
Il vostro quartier generale è in una delle aree più operose d’Italia. Com’è lavorare qui?
Siamo in un’area con un’etica del lavoro molto spiccata e un forte senso del dovere. Allo stesso tempo, anche qui il lavoro viene vissuto diversamente rispetto a decenni fa. La società cambia, e noi stiamo offrendo risposte in linea con il mutare dei tempi, per esempio adottando soluzioni di lavoro agile.
Sull’imprenditoria italiana pesano tante spade di Damocle. Quali levano il sonno più delle altre?
La troppa ideologia dell’Europa, di contro all’irruenza di Cina e Usa. I nostri costi, con apice nell’energia, sono aumentati a dismisura, è sempre più difficile essere competitivi. Discorso che vale per il mio gruppo, ma anche per i nostri concorrenti europei. Dobbiamo salvaguardare l’ambiente, ma anche la produttività. Rispetto ai due giganti d’Oriente e Occidente, stiamo perdendo quote di mercato. L’Europa vorrebbe fare da traino nel cammino verso la sostenibilità. È un’aspirazione encomiabile, ma devono essere garantiti tempi adeguati e regole del gioco uguali per tutti, anche per i prodotti di importazione.
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