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Cultura

Come è nato il Festival di Salisburgo, manifestazione musicale che porta all’estero il genio italiano

Non si valorizza a sufficienza il contributo dei nostri musicisti di classica e lirica nel far circolare il meglio dell’Italia nel mondo, accrescendone l’appetibilità. Con loro viaggia l’Italia più profonda e intelligente, quella che affossa i cliché – sul nostro Paese – duri a morire. A differenza dei colleghi della cosiddetta “leggera”, la cui fama salvo rarissimi casa è strettamente domestica, quelli della classica hanno un peso internazionale.

Da Riccardo Muti a Cecilia Bartoli

Qualche esempio. Il direttore d’orchestra Riccardo Muti ha appena concluso la lunga permanenza alla guida della Chicago Symphony ed è il prediletto dei Wiener: due eccellenze assolute  d’America ed Europa. Attraverso la sua Opera Academy, in Italia, Giappone e Cina, forma direttori e cantanti nell’esecuzione dell’opera italiana, instillando e preservando un patrimonio (immateriale) Unesco. La pianista Beatrice Rana è fresca di debutto alla Philharmonie di Berlino con l’orchestra tra le più iconiche che vi siano, i Berliner. Berlino e Vienna stanno alla musica come i motori all’emiliana Motor Valley. 

E ancora, Cecilia Bartoli, cantante e imprenditrice musicale, dal 2012 dirige il Festival di Pentecoste di Salisburgo (preceduta dall’italiano Muti) e dal 2023 anche l’Opéra di Montecarlo. Attraverso le tre declinazioni di Pasqua, Pentecoste ed estiva, il Festival di Salisburgo è considerata la manifestazione musicale numero uno al mondo. Nell’edizione estiva del 2023, per esempio, sono stati totalizzati 230mila biglietti per 179 spettacoli, con i 3/4 del budget (pari a 67.5 milioni) costruito con i ricavi da biglietteria, sponsor e mecenati. 

L’edizione estiva

Il piatto forte dell’edizione di maggio, l’opera La Clemenza di Tito di Mozart su libretto italiano, verrà ripresa il prossimo agosto nell’edizione estiva al via il 19 luglio con finale il 31 agosto. Probabilmente continuerà a far discutere la lettura del regista Robert Carsen che ha predisposto per il ruolo della Bartoli, Sesto, un personaggio gender fluid, trasformando Vitellia, opportunista e crudele, in Giorgia Meloni: richiamata fin dal (penultimo) taglio dei capelli.

Con il regista torinese Livermore, Bartoli si è inventata un pastiche su pagine di Mozart e Da Ponte, firma quest’ultimo dei più intelligenti libretti d’opera in assoluto. Il direttore Luca Capuano era alla testa de Les Musiciens du Prince, che è poi il Principe di Monaco: Bartoli sa smuovere anche le teste coronate.

Come è nato il Festival di Salisburgo

Tanta Italia in un Festival nato nel 1920  quando, a bocce ferme, finita  la prima guerra mondiale e crollato l’impero austro-ungarico, si decideva di lanciare il festival della pace, e così venne prescelta la città del divino Mozart. Su iniziativa di Herbert von Karajan, salisburghese e anima della manifestazione fra gli anni Sessanta e Ottanta, nacquero poi le edizioni di Pasqua e di Pentecoste.

La terna di festival è un forte tratto identitario dell’Austria, Paese dalle due grandi passioni, musica e sci; di fatto, spingendo lo sguardo oltre le torri barocche della cittadina, vedi una parata di montagne dove i boschi lasciano spazio a plurime piste da sci. Questa l’anima di Salisburgo, sportiva e colta, un po’ globale e un po’ locale, aperta al mondo ma fedelissima alle proprie tradizioni rammentate fin dalla mise di tanti spettatori che amano varcare la soglia delle sale da concerto  indossando Dirndl (l’abito con il grembiule) e Lederhosen (pantaloni in cuoio). 

Sul far dei concerti, nella fiumana dei turisti che riempie la cittadina distingui facilmente i festivalieri. Qui la forma è ancora sostanza,  per cui tutti tirati a lucido, anche alle matinée. E’ impressionante e ristoratore il silenzio che precede ogni esecuzione. E alla fine il riscontro non è mai di circostanza: o si applaude o si fischia, con gran convinzione. Sonoramente. 

I luoghi del festival

I luoghi del festival sono 17, ma la gran parte degli eventi si svolge nel Festspielbezirk, l’omonimo quartiere, sotto la Fortezza di Hohensalzburg e con affaccio sul viale.  Quando prendono via i tre festival, in particolare quello estivo, Salisburgo cambia pelle trasformandosi in un ristorante diffuso con locali, bar, ristoranti sempre aperti.

Al mattino, quando tutto tace, ma non le campane, campanelle e campaononi allegramente concertanti, fra le viuzze ztl scorgi i salutisti da corsetta e camion presi a scaricare cibo e birra. Tanta birra. Curiostà, è impressionante la concentrazione di ristoranti stellati: ben quattro. Che poi se riempi la giornata di musica, il che conviene data la qualità, i tempi sono così  stretti che finisci per cedere all’ennesima Wiener Schnitzel in una delle trattorie a pochi centimetri dai teatri.

Nel nome di Mozart, a Salisburgo è stata creata una macchina culturale che è un portento anche sotto il profilo economico, e certo contribuisce a  fare di Salisburgo la regione austriaca con il più basso tasso di disoccupazione, pari a 3.7% (Bergamo e Pordenone però la battono con il un 2,2%). La manifestazione crea un valore diretto e indiretto di 183 milioni di euro. I biglietti costicchiano? Il prezzo va dai 5 ai 450 euro, e la metà dei biglietti sta sotto la soglia dei 105 euro. La classica è assai più sostenibile della leggera. Per il resto, de gustibus.

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