Articolo tratto dal numero di giugno 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
Di Paolo Bozzacchi e Gaia De Scalzi
Nonostante il 2023 sia stato un anno difficile per moltissimi mercati, Merck, azienda dell’ambito scientifico e tecnologico, si è mossa in controtendenza. Le performance migliori le ha realizzate la divisione healthcare, guidata da Peter Guenter. Insediatosi a gennaio 2021, Guenter (che è anche membro dell’executive board di Merck) ha portato le vendite nette a un +8,5%.
La sua strategia ha tracciato, infatti, una rotta in grado di migliorare le vite di pazienti con importanti bisogni medici insoddisfatti. Tra le aree terapeutiche cresciute a doppia cifra: l’oncologia, la sclerosi multipla (il cui farmaco orale ha raggiunto per la prima volta dal lancio il miliardo di dollari in vendite nette) e la fertilità. Nell’ambito dei 65 paesi in cui Merck opera, l’Italia riveste da più di un secolo un ruolo centrale in termini di valore della produzione, crescita dell’export e capacità di innovazione grazie all’attività dei suoi cinque siti dislocati in quattro regioni.
Rispetto a 350 anni fa, quando l’azienda venne fondata in Germania, in che modo l’approccio alla cura dei pazienti è cambiato, e come l’intelligenza artificiale trasformerà la ricerca?
L’IA rappresenta una delle più grandi potenzialità per la ricerca. E nello sviluppo clinico è lo stesso. Una volta che un trial arriva a un livello avanzato, inizia a costare moltissimo, anche centinaia di milioni di euro. Con l’IA si potranno realizzare dei gemelli digitali di persone fisiche e simulare un trattamento con i farmaci, comparando i risultati con quelli reali. In questo modo la ricerca sarà meno costosa, più veloce e soprattutto più predittiva. Riguardo, invece, alla cura dei pazienti, già oggi esistono soluzioni digitali molto interessanti.
Quali?
Parliamo di un nostro farmaco per contrastare il deficit dell’ormone della crescita. Visto che la maggior parte dei giovani pazienti in cura può dimenticare di fare l’iniezione quotidiana, per non compromettere il risultato del trattamento, abbiamo adottato una soluzione digitale che avvisa in tempo reale loro e i loro caregivers della mancata somministrazione. I farmaci sono il cuore della soluzione, ma non l’unica soluzione.
L’Italia è abbastanza coraggiosa e innovativa in fatto di policy?
Due sono le criticità che ci preoccupano. La prima è l’accesso tardivo all’innovazione. Una volta ottenuta l’approvazione europea su un farmaco, in Italia le decisioni su prezzo e rimborsi sono molto lente. La speranza è che con la riforma dell’Agenzia del farmaco si velocizzi questo processo. È inaccettabile che, per alcune patologie gravi, il progresso farmaceutico arrivi con oltre due anni di ritardo rispetto alla Germania. La seconda criticità è il finanziamento pubblico dedicato ai farmaci, cronicamente troppo basso. Ciò comporta il fatto che l’industria debba pagare ogni anno una sorta di contributo significativo (il clawback, ndr). Sarebbe giusto che il governo italiano allocasse fondi più realistici per i medicinali, anche per consentire a realtà come la nostra di reinvestire parte dei guadagni in ricerca e sviluppo. Se è vero che le aziende farmaceutiche hanno margini alti, è altresì vero che restano industrie ad alto rischio. Nota a margine: una nuova molecola costa mediamente più di due miliardi di euro e sono numerosi i tentativi che falliscono prima di metterla sul mercato.
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