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Tim cede la rete a Kkr: inizia la nuova era Netco. Cosa succede adesso

Tim dice addio alla rete. Dopo numerosi tentativi, il delicato dossier dello scorporo è andato in porto. Questa mattina, il gruppo ha firmato insieme al fondo americano Kkr la nascita della nuova società della rete Netco. 

Kkr ha valutato l’infrastruttura fino a 22 miliardi di euro, di cui circa 3 miliardi di earn-out legati a una futura combinazione con Open Fiber, partecipata da Cassa Depositi e Prestiti, a sua volta secondo azionista del gruppo con quasi poco meno del 10% del capitale.

A nulla è servita l’opposizione di Vivendi, colosso francese dei media e primo azionista di Tim con circa il 24% del capitale, che nei mesi scorsi aveva minacciato azioni legali per contrastare il perfezionamento della cessione della rete. A fine maggio, il giudice ha respinto la richieste avanzata al Tribunale dalla società francese, di emettere un ordine di esibizione di alcuni documenti relativi alla transazione, fissando l’ultima udienza per il 5 novembre.

Le due fasi dell’operazione

Il fondo americano avrà la maggioranza, dentro il Mef con una quota del 20%, mentre il fondo infrastrutturale italiano F2i avrà una quota del 10%. Nell’operazione dentro anche il Fondo Sovrano di Abu Dhabi Adia (20%) e il Fondo Pensione Canadese Canada Pension Plan (17,5%).

L’operazione prevede due fasi ben distinte. Si parte con il perfezionamento dell’operazione tra Tim e Kkr, con il conferimento degli asset a Fibercop (sarà il nome della nuova società della rete) e il fondo americano (che oggi controlla il 37,5% della rete secondaria) che rileverà attraverso Optics Bidco le quote di Fastweb (4,5%) e di Tim (58%).

Nella seconda fase, si passerà alla nomina del nuovo consiglio di FiberCop: oltre alla conferma di Massimo Sarmi nel ruolo di presidente, sarà nominato ad Luigi Ferraris, ex ad di Ferrovie dello Stato, mentre Elisabetta Romano assumerà il ruolo di chief technology officer.

Cosa resta a Tim?

L’azienda conta oggi circa 16.700 dipendenti, con 14,5 miliardi di ricavi attesi nel 2024, un margine operativo di 3,75 miliardi, frutto per il 70% delle attività in Brasile e dei servizi alle imprese.

Con lo scorporo della rete, la società ridurrà fortemente il suo indebitamento finanziario, liberandosi di 14 miliardi di euro di debito. Una cifra che con l’aumento dei tassi di interesse appariva sempre più difficile da gestire e che influiva su ogni piano di sviluppo sin dalla privatizzazione degli anni ’90.

Con la chiusura dell’operazione, Tim concentrerà i suoi sforzi sui business consumer, ovvero i servizi per famiglie e Pmi, Tim Enterprise, che si occupa delle grandi aziende e della pubblica amministrazione, e il Brasile. Tim potrà dedicarsi ai servizi ‘core’ di telefonia e internet e a quelli più ‘evoluti’ come i Cloud, Data Center, distribuzione di contenuti. Nell’area enterprise, non da escludere che il gruppo possa puntare anche ad acquisizioni, come dichiarato dal suo ad, Labriola.

Nel frattempo, in questi giorni si attende una nuova offerta del Mef per Sparkle, la società dei cavi sottomarini controllata da Tim, che ha circa 800 dipendenti e fattura intorno al miliardo di euro. Con l’operazione si punta a portare a casa almeno 800 milioni di euro. In passato, Tim aveva già rifiutato una proposta del Mef che valorizzava Sparkle circa 650 milioni di euro.

E il titolo Tim?

Nel giorno dello scorporo della rete a Kkr, il titolo Tim è stato al centro dell’attenzione, con un guadagno dell’1,8%. Allargando lo spettro, se negli ultimi 12 mesi (da novembre 2022 a oggi) Tim ha guadagnato il 4%, il suo valore si è difatti dimezzato dallo scoppio della pandemia. Dal 21 febbraio 2020 a oggi ha infatti ceduto più del 50%.

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