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“La cena non è solo un carosello di piatti, ma un insieme di momenti indimenticabili”

Articolo tratto dal numero di luglio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Passione, umiltà, costanza e dedizione. Mai un giorno senza lavorare e sempre col sorriso sulle labbra. Sono questi i valori che Rossella Cerea, proprietaria e general manager del gruppo Da Vittorio, ha fatto propri, seguendo l’esempio di papà Vittorio e di mamma Bruna.

La storia imprenditoriale di questa famiglia bergamasca dimostra come, la maggior parte delle volte, il successo non sia immediato. Anzi, le idee geniali, in una fase iniziale, non vengono quasi mai capite e c’è bisogno di passare attraverso la tempesta, per uscirne vincitori. L’inizio del brand si ha grazie al talento di Vittorio Cerea, che nel 1966, insieme alla moglie Bruna, aprì il suo ristorante nel centro di Bergamo.

Personalità forte e anticonvenzionale, Vittorio decise di dare ampio spazio nel menu alla cucina di pesce, a quei tempi oscurata dalla carne. Gli diedero del pazzo. “Il pesce a Bergamo non funzionerà mai, non c’è nemmeno il mare vicino”, gli dicevano. Ma lui continuò nel suo convincimento: creare il miglior ristorante di pesce in Italia, dove nessuno se lo sarebbe aspettato. Come in una saga, superando le difficoltà, Vittorio ebbe ragione e Bergamo divenne rapidamente una tappa imprescindibile per i gourmand.

Da Vittorio. Crediti: Fabrizio Pato Donati

Nel 1978, insieme al successo, arrivò anche la prima stella Michelin, raddoppiata nel 1996. Pochi anni dopo, la crescita è proseguita con il trasferimento nella prestigiosa villa con camere immerse nel verde e con l’ingresso nei circuiti Relais&Chateaux e Les Grandes Tables du Monde. Quando il padre venne a mancare la famiglia si strinse nel suo ricordo, lavorando per raggiungere il sogno di una vita, in suo onore. Infine, nel 2010 arrivò il riconoscimento massimo: la terza stella Michelin.

Oggi è Rossella a portare avanti la tradizione insieme ai fratelli: gli chef Enrico e Roberto, e Francesco, responsabile della ristorazione esterna. Il percorso dei Cerea dimostra come oggi la ristorazione di lusso abbia cambiato volto. Se, un tempo, il ristorante di alta cucina veniva percepito come un luogo freddo, ingessato ed estremamente formale, oggi si preferisce un’accoglienza gentile e calorosa, che faccia sentire l’ospite a proprio agio.

“Faccio questo lavoro fin da bambina”, racconta Rossella. “I miei esempi sono stati papà Vittorio e mamma Bruna, autentici pionieri dentro e fuori dalla cucina. Fin dall’inizio del nostro percorso imprenditoriale ci hanno insegnato che il vero lusso vive di umanità e di calore, perché la cena non è solo un carosello di ottimi piatti, ma una concatenazione di momenti indimenticabili, che deve scorrere in modo naturale, senza forzature. Ci vuole non solo preparazione tecnica, ma anche sensibilità e tatto. Ho sempre ammirato la ‘visione laterale’ di mio padre. Non ha mai seguito gli schemi: ha portato il pesce di altissima qualità in una città ‘di carne’ come Bergamo.

I paccheri alla Vittorio

È stato tra i primi ad avere la geniale intuizione di rendere le ricette interattive, come i mitici paccheri alla Vittorio, rivoluzionando il concetto stesso di esperienza gastronomica: non sono una semplice pasta al pomodoro, ma condensano la nostra storia, il nostro passato, il nostro amore per l’italianità”. I paccheri alla Vittorio, infatti, sono un esempio di come si può creare un signature dish, un’icona che non teme il tempo, né più né meno di quello che ha fatto Chanel col profumo N°5, Louis Vuitton con la sua Monogram o Rolex con il Datejust.

A livello tecnico, i paccheri alla Vittorio prevedono la creazione di un sugo vellutato, passato nel colino a maglie fini per eliminare ogni imperfezione, a base di tre tipi di pomodoro, per creare un’alchimia perfetta tra dolcezza, sapidità e acidità: pomodori di Pachino, San Marzano e datterini gialli. Come ogni luxury food, il piatto ha una decisiva componente di experience.

Al momento del servizio, viene portato al tavolo del cliente un carrello che sostiene un tegame di rame. La pasta viene mantecata al momento, facendo cadere dall’alto una pioggia di Parmigiano Reggiano. È lo chef in persona a eseguire l’operazione con movimenti rapidi e precisi, davanti agli occhi dei commensali. Il pacchero si trasforma, così, in qualcosa di più di un piatto: diventa performance artistica e ricordo affettuoso del fondatore, Vittorio.

La cucina come esperienza

“Papà aveva capito, già negli anni Sessanta, che l’esperienza era vitale per trasformare il pasto in un momento immersivo, in cui il cliente non fosse solo assaggiatore di piatti, ma protagonista di un attimo indimenticabile di gioia e convivialità. Proporre una cucina di pesce non significava, inoltre, tralasciare il territorio, anzi: le tradizioni lombarde sono sempre state presenti in tavola, a sancire che il lusso vive e prospera dove ha il suo radicamento culturale. Mai vergognarsi delle proprie origini. Da notare che il pacchero è un piatto semplice e immediato, non elaborato, il primo che mangiamo da bambini. La felicità a tavola è anche ricordo dell’infanzia”.

L’Academy Da Vittorio

Nel racconto, il pensiero di Rossella va costantemente alla mamma. “Oggi è lei il collante della famiglia, l’esempio a cui ci ispiriamo: ha saputo far valere le proprie idee con grazia, ma con determinazione, senza mai temere il confronto con un mondo che spesso vede un uomo solo al comando. Si parla della ristorazione come di un settore maschile, ma donne come mia madre sono la prova che si può crescere cinque figli e, al tempo stesso, guidare centinaia di dipendenti con gentilezza e garbo. Io, da donna manager, cerco di fare altrettanto”.

Rossella lavora da anni sulla formazione del personale, elemento chiave del business della ristorazione. “Sbaglia chi pensa che il servizio di sala sia solo portare un piatto. Soprattutto in un ristorante di lusso, il personale è il primo comunicatore dei valori del brand. Ecco perché abbiamo creato l’Academy Da Vittorio, una scuola di formazione gratuita per i dipendenti. Speriamo che, attraverso lo studio, i giovani si innamorino di questa professione”.

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