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Artisti, mecenati e miliardari: viaggio nella Woodstock della musica classica

Dove si trova il metro quadro più costoso di tutto l’arco alpino, pari a 21.500 franchi? A Verbier, che così sorpassa St. Moritz aggiudicandosi il primato della località montana più costosa, dunque prestigiosa, d’Europa. Lo documenta il rapporto UBS Alpine Property Focus 2024 che vede la Svizzera ai primi posti assoluti di una classifica dove l’Italia è rappresentata dalla sola Cortina, e pure quest’ultima al 17esimo posto.

D’inverno stazione sciistica a plurime stelle, d’estate Verbier è piattaforma di incontri di milionari e miliardari che qui hanno casa o che vi giungono su stimolo di un festival musicale lanciato trent’anni fa da Martin Engstroem, un passato da manager, con Bernstein nella scuderia, e poi imprenditore d’arte capace di fare di Verbier la Woodstock della musica classica.

Perché in nessuna parte del mondo nell’arco di tre settimane si ritrova una tale concentrazione di interpreti stellari, a corona dei quali si muovono 140 giovani talenti qui per perfezionarsi nei singoli strumenti e in orchestra. Questo è il Verbier Festival (chiusura il 4 agosto), manifestazione di concerti e accademia di alto perfezionamento.

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Una giornata tipo al Festival di Verbier

Kavakos, Festival Verbier
Kavakos, Festival Verbier

Per esemplificare di cosa si tratta, raccontiamo un giorno-tipo, il 22 luglio. Mattinata aperta dal recital di Magdalena Kozena, con figlia e marito in fila all’ingresso come spettatori qualsiasi, quindi seduti fra il pubblico. Il marito si chiama Simon Rattle, direttore della Sinfonica della Radio Bavarese e per vent’anni dei Berliner Philharmoniker, che stanno alle orchestre come Einstein alla Fisica.

Ritrovi Rattle di lì a due ore a provare il Triplo Concerto di Beethoven con uno violinista strepitoso come Leonidas Kavakos, Lahav Shani è al pianoforte e Klaus Mäkelä al violoncello, già il 28enne Mäkelä che è anzitutto direttore d’orchestra: a breve subentrerà a Riccardo Muti alla guida della Chicago Symphony.

Terna di fuoriclasse che poi nella Sinfonia Eroica opera, confondendosi, tra le file degli orchestrali. Ed ecco, nel bel mezzo delle prove, arrivare Andras Schiff, nel gotha del pianismo, prendere posto e assistere alle prove. Appena fuori dalla sala, Evgenij Kissin, altro numero uno, che passeggia con la famiglia rilassandosi dopo il recital della sera prima.

La giornata prosegue con la performance del pianista Nikolai Lugansky, Premio Cajkovskij che esegue Cajkovskij. In contemporanea, nell’altro auditorium, va in scena un ensemble di talenti capitanati dal ventenne Daniel Lozakovich, uno dei violinisti più promettenti. Il Festival è un accavallarsi di generazioni, di star conclamate e di giovani rampanti, da Alexandra Dovgan a Mikhail Pletnev, Tony Pappano, Thomas Quastoff, Dmitry Shishkin, Mischa Maisky. Si fa prima a dire chi non c’è.

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Quando la musica attira i billionaires

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Allo scoccare dell’ora del concerto, parterre de rois. In platea, a un soffio dal palcoscenico, siedono Les Amis (Gli Amici) del festival: gli amici veri, quelli che si vedono nel momento del bisogno, trattandosi dei mecenati che tanto contribuiscono ai 13,5 milioni di budget della manifestazione.

Si va dalla ricca ereditiera inglese, con case in Costa Azzurra, Londra e Caraibi, al tycoon americano, appassionato di musica che in attesa che si palesi il concertista si presenta: “Hi, I’m Ronnie”; “Viene spesso al Verbier Festival?”. “Questa è la mia prima volta, ma a Boston ho una mia academy con allievi, ed ex allievi, che stanno suonando qui, Yuja Wang per esempio”.

Ronnie Chanpatrimonio stimato da Forbes di 2 miliardi – è l’uomo che in un colpo solo ha donato alla Harvard la bellezza di 350 milioni di dollari, e di lì a poco altri 150 a un ospedale nel Massachusetts, la lista prosegue, e per questo dubitiamo sia fortuita la sua presenza elvetica.

Si tocca l’apice la sera quando – finiti i concerti – Verbier si trasforma in un grande salotto, di quelli narrati da Henry James o da Tolstoj, con gli chalet che si spalancano ad artisti, mecenati, filantropi ed intellettuali di passaggio.

Premio per la Cultura ed Economia

Plauso a Martin Engstroem che ha saputo creare dal niente una comunità di artisti e di sostenitori coinvolgendo il territorio che lo ha ricambiato conferendogli il Premio per la Cultura ed Economia, da lui ritirato in maglioncino, stile Marchionne, perché a Verbier la sostanza prevale sulla forma.

Premio che la dice lunga su come sia stato percepito un festival, che è volano dell’economia locale, esattamente come quelli che irrorano il tessuto italiano, da Bolzano al Salento. Il Verbier Festival attrae stelle, i migliori giovani affermati e fa pure scouting spesso attingendo all’alta gamma del capitale umano forgiato nelle masterclass dell’Accademia. Quest’anno in 1.100 hanno tentato la fortuna candidandosi ai corsi di alto perfezionamento, a spuntarla sono stati 99 orchestrali e 40 solisti. L’Italia è rappresentata (solo) dal Trio Chagall, ensemble dalle quote in ascesa, e da tre orchestrali.

La selezione è quasi crudele, l’orchestra ha come parametri d’accesso età sotto i 28 anni, comprovata bravura, attitudine a lavorare sodo con le prime parti di orchestre di lusso. “Selezionare è difficile perché il livello è altissimo. Però va fatta la cernita, e alla fine dobbiamo scegliere chi ammettere e chi no”, spiega Mattia Bornati, responsabile artistico delle orchestre, incaricato di fare da tramite fra gli artisti e i direttori. Ogni anno qui atterra il meglio della direzione d’orchestra – Gergiev, Pappano, Rattle, Gatti, tra gli altri – quindi la compagine va preparata adeguatamente.

Le tre orchestre nascono ogni luglio per sciogliersi ad agosto. Ma per i migliori, anagrafe permettendo, la prospettiva è quella di tornare l’anno successivo. Stesso discorso vale per gli spettatori, paperoni e comuni mortali: è arte somma affidata alle eccellenze di settore, ma i biglietti sono accessibili, sicuramente più di quanto lo siano quelli di un concerto di Taylor Swift (de gustibus).

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