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Perché l’intelligenza artificiale non ha ancora avuto un impatto sull’occupazione e sulla produttività

Articolo apparso sul numero di agosto 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Non c’è bisogno di andare nella capitale della tecnologia, San Francisco. Un certo entusiasmo lo si respira perfino nella medievale Perugia. È l’ora dell’aperitivo in un locale del centro storico. Al bancone del bar un gruppo di colleghi discute allegramente. Birra, taralli e, questa volta, un argomento nuovo: intelligenza artificiale. Si sono appena abbonati a Spellbook, un software che usa l’IA generativa di Gpt-4 per migliorare contratti legali, scrivendoli direttamente su Microsoft Word. “Usavo ChatGPT tutti i giorni”, dice Luca, avvocato esperto di proprietà intellettuale. “È utile per affinare i testi. Puoi inserire una clausola e chiedere di formulare un testo più stringente per la controparte. Chiedergli di negoziare in modo più aggressivo per il tuo cliente”.

Spellbook, un servizio a pagamento, usa la tecnologia di OpenAI adattandola all’ambito legale. Si basa su miliardi di frasi estratte da contratti giuridici. Secondo Luca i grandi studi legali si appoggiano ormai a tecnologie simili. “È uno strumento in più. Velocizza il lavoro. È ottimo per riassumere testi. Oggi dovevo fare un intervento in materia di food law e gli ho chiesto di preparare un testo sulla base di alcune slide”.

Insomma, parlando con Luca, ma anche con altri avvocati – ad esempio Giulio Ciompi dello studio internazionale Ontier -, si ha l’impressione che strumenti come ChatGPT abbiano già un impatto sulla produttività del lavoro. Questa, del resto, è la grande speranza, e il motivo per cui i giganti della tecnologia investono centinaia di miliardi di dollari. Quest’anno aziende come Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft stanno pianificando un budget di 400 miliardi di dollari per hardware e ricerca legati all’intelligenza artificiale.

Uno tsunami sul mondo del lavoro

A San Francisco si dà per scontato che l’IA trasformerà l’economia globale. Ce n’è un gran bisogno. Il problema principale delle economie avanzate è una lunga crisi di produttività. Nei paesi del G7, nel decennio successivo alla crisi finanziaria del 2008, la produttività, intesa come output per ogni ora di lavoro, è cresciuta meno dell’1% all’anno, meno della metà del tasso del decennio precedente, secondo l’agenzia di stampa britannica Reuters. Un aumento della produttività servirebbe a controbilanciare l’invecchiamento della popolazione.

Nel mondo ricco, infatti, la forza lavoro in rapporto al totale degli abitanti tende a contrarsi. Questo perché le nascite sono in calo, mentre cresce il numero di pensionati. E perfino la Cina affronta problemi analoghi. L’intelligenza artificiale generativa promette di essere una risposta. Vero, c’è anche chi la teme. La paura è che cancelli migliaia di impieghi: Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo monetario internazionale, ha detto che l’IA colpirà il mercato del lavoro “come uno tsunami”.

Dentro questo cambiamento ci sono probabilmente molti nuovi lavori. Ma lo tsunami, avverte Georgieva, è soprattutto un’onda distruttiva. Tuttavia, discutendo con professionisti di ogni genere – avvocati, copywriter, account manager, giornalisti – si capta più speranza che angoscia. Insomma, prevale l’ottimismo. L’avvocato Ciompi non si sente affatto minacciato dalla nuova intelligenza artificiale. La vede come un moltiplicatore delle sue capacità, non come una tecnologia che un giorno potrebbe sostituirlo. Molti professionisti sembrano vivere esperienze simili. Secondo un’indagine di Microsoft e LinkedIn, il 75% dei cosiddetti lavoratori della conoscenza globali usa strumenti di IA generativa come ChatGPT. Un recente sondaggio di McKinsey indica che quasi due terzi degli intervistati affermano che la loro azienda utilizza regolarmente l’intelligenza generativa, il doppio rispetto all’anno precedente.

Entusiasmo prematuro

San Francisco è l’occhio del ciclone. È come fosse Liverpool al tempo dei Beatles o Napoli all’epoca di Maradona. Si viene travolti dalla mania dell’intelligenza artificiale. Questo fermento, e la promessa di guadagni sensazionali, stanno pompando gli indici tecnologici. Gli investitori, spiega l’Economist, hanno aggiunto nell’ultimo anno oltre 2mila miliardi di dollari al valore di mercato delle cinque grandi aziende tech (Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Microsoft).

Sempre secondo l’Economist, queste quotazioni lasciano presupporre una crescita dei ricavi annui dei cinque giganti pari a 300-400 miliardi di dollari, circa l’equivalente delle entrate di Apple. Il problema è che tutti questi incassi ancora non si sono materializzati. Anche i più ottimisti pensano che quest’anno Microsoft realizzerà circa 10 miliardi di dollari dalle vendite legate all’IA generativa. Che cosa significa? Forse l’entusiasmo è prematuro o esagerato?

Alcune ricerche suggeriscono che il tasso di adozione dell’IA nel resto dell’economia non è così alto. Sondaggi britannici indicano come lo scorso marzo abbia usato l’IA circa un quinto delle aziende. In America i numeri sono addirittura inferiori. Le agenzie federali intervistano società di ogni tipo e in una gamma più vasta di settori rispetto a LinkedIn e Microsoft. Secondo il Census Bureau americano, solo il 5% delle aziende ha usato l’IA nelle ultime due settimane.

Goldman Sachs ha creato un indice di mercato azionario per monitorare le aziende che potrebbero ottenere il maggior incremento di utili usando l’IA per migliorare la produttività. L’indice include società come Walmart, la prima catena mondiale della grande distribuzione, e H&R Block, specializzata in servizi di preparazione fiscale. Tuttavia, dall’inizio del 2023 le azioni di queste società non hanno registrato una performance superiore a quella generale del mercato azionario. In altre parole, gli investitori non si aspettano profitti extra significativi.

Obiettivo 2027

Goldman Sachs, però, è fiduciosa. In un report di maggio ha ammesso che i benefici economici dell’IA non sono ancora tangibili, perché l’adozione della tecnologia nei processi lavorativi oggi è limitata. Ma le cose cambieranno quando l’IA generativa comincerà a diffondersi davvero. Secondo la banca d’affari, ci sarà un impatto misurabile sul Pil degli Stati Uniti a partire dal 2027, con effetti successivi su altre economie globali. Per una diffusione più ampia dell’IA generativa nel business, continua Goldman, sono necessarie infrastrutture adeguate, come modelli di IA potenti e reti capaci di gestire più comandi, il che richiede una crescita degli investimenti in semiconduttori e capacità di rete e nell’energia per sostenere gli aumenti di domanda.

Una tale crescita di investimenti, va detto, oggi non si manifesta ancora. Ma è anche una questione di cultura, norme e incentivi. Molte aziende riconoscono il potenziale dell’IA, ma sono frenate da conoscenze ancora scarse, da timori su privacy e sicurezza e dalla paura di investire in tecnologie che rischiano un invecchiamento rapido perché evolvono molto in fretta. A sentire Goldman Sachs, la maggior parte degli amministratori delegati prevede un effetto significativo dell’IA entro una decina d’anni.

Questo approccio cauto, in parte, è dovuto agli errori che l’IA commette ancora con una certa frequenza: le cosiddette ‘allucinazioni’, o semplicemente informazioni false, ma pericolosamente plausibili. Parecchie aziende temono di esporsi a danni reputazionali. JPMorgan ha vietato l’uso di ChatGPT, sebbene stia sperimentando l’IA. I manager del settore pubblico e di altri settori fortemente regolamentati, potrebbero non sentire alcun impulso all’innovazione. Questi settori costituiscono una parte considerevole dell’economia: in America, scrive l’Economist, valgono un quarto del Pil. In Italia, verosimilmente molto di più.

La prima tecnologia che rimpiazza i cervelli

Ma tutto questo non sorprende, perché la resistenza al cambiamento è naturale. Le grandi innovazioni destabilizzano. Nel corso della storia sono state accolte con entusiasmo, ma anche osteggiate. Nel 1589 la regina di Inghilterra rifiutò di concedere il brevetto al primo telaio per la produzione di calze da donna. L’inventore, William Lee, un religioso del Nottinghamshire, aveva creato una macchina che prometteva una crescita enorme di produttività. Elisabetta I, però, temeva quella che Schumpeter avrebbe definito “la burrasca della distruzione creativa”: il nuovo che travolge tecnologie vecchie, i magliai disoccupati a causa dell’invenzione.

Per certi versi, l’IA generativa suscita paure ancora più grandi. Le macchine e i robot possono sostituire funzioni manuali; il timore di alcuni è che ChatGPT possa sostituire direttamente i cervelli. Un sondaggio di Boston Consulting Group ha rilevato che i lavoratori più preoccupati sono i cosiddetti front-line worker, cioè coloro che interagiscono direttamente con clienti, consumatori e utenti di servizi. Ma anche chi fa lavori più creativi non è detto che si senta al riparo. Un esempio: il sindacato degli scrittori di Hollywood è stato in sciopero per gran parte del 2023, temendo che l’IA distrugga posti di lavoro. Però, se si cercano tracce di licenziamenti, i dati macroeconomici attuali indicano tutt’altro.

La disoccupazione nei paesi ricchi è sotto il 5%, vicino a un minimo storico. Ed è ai massimi, invece, la percentuale di lavoratori occupati, con una crescita dei salari spesso soddisfacente. Inoltre le persone non cambiano lavoro più rapidamente del solito, cosa che ci si aspetterebbe se molti posti fossero in pericolo. Più nel dettaglio: gli impieghi considerati più vulnerabili all’IA – dal supporto amministrativo al copywriter – al momento non mostrano segni di cedimento. Nel mercato americano la percentuale di occupazione in queste professioni è più alta rispetto a prima della pandemia.

La produttività non cresce

L’altra variabile da tenere d’occhio è la produttività. Tony Blair ha dato un consiglio al nuovo governo laburista: sfruttate il potenziale ‘rivoluzionario’ dell’intelligenza artificiale. L’unica vera strada, secondo Blair, per risollevare la stagnante produttività inglese. Ma anche in questo caso l’evidenza macroeconomica racconta un’altra storia. Le stime più recenti, basate su dati ufficiali, suggeriscono che l’output reale per dipendente nei paesi ricchi non cresce.

In America la produttività sembra addirittura più bassa del livello pre-pandemia, dice l’Economist. In un documento recente, Goldman Sachs è sostanzialmente d’accordo. Per aumenti di produttività bisogna ancora aspettare. Il punto, secondo Jim Covello, capo della ricerca sui mercati azionari globali di Goldman, è che le cinque grandi società tecnologiche hanno investito tantissimo in intelligenza artificiale, ma non è chiaro se questi investimenti si tradurranno in guadagni all’altezza delle aspettative. Inoltre, il resto delle società non investe in modo significativo, cosa necessaria per una diffusione più ampia e sistematica della nuova tecnologia.

Per adottare l’IA in modo massiccio bisogna investire in infrastrutture: aziende di semiconduttori, fornitori di servizi cloud, data center e altre imprese basate su apparecchiature hardware. Una volta preparato questo campo, si potranno valutare i risultati. Alcuni economisti restano scettici. È il caso di Daron Acemoglu, professore al Mit, secondo cui i vantaggi economici dell’IA saranno limitati nei prossimi dieci anni. Altri sono più ottimisti. Rash Rangan, analista di software americano citato nell’ultimo rapporto di Goldman Sachs, sostiene che oggi le aziende stanno ponendo le basi per un’economia profittevole di nuova generazione, basata sull’IA. “Il ciclo dell’IA è ancora nella fase di costruzione dell’infrastruttura, quindi ci vorrà tempo per trovare l’applicazione decisiva, ma credo che ci arriveremo,” ha dichiarato. Non è troppo ottimista, però, per il breve termine. 

Ma anche in passato le nuove tecnologie hanno fatto crescere la produttività in modo graduale. Negli Stati Uniti ci sono voluti decenni prima che l’elettricità avesse un impatto sulla crescita dell’output manifatturiero, come spiega una ricerca dell’economista Paul David. 

Ciò che conta è ascoltare le persone. La luce elettrica sarà sembrata molto utile anche agli albori di quella rivoluzione. E lo stesso sembra valere per l’intelligenza artificiale generativa, se si ascoltano i professionisti che la usano. Un nuovo articolo delle Università di Chicago e Copenhagen ha esaminato 100mila lavoratori danesi. Gli intervistati, in media, dicono che ChatGPT può dimezzare il tempo dedicato a circa un terzo delle attività lavorative. Già questo è un grande aumento di produttività.

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