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Marco Quarta Rubedo Life Sciences
Innovation

La storia dello scienziato italiano volato nella Silicon Valley per curare l’invecchiamento

Articolo tratto dal numero di agosto 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Marco Quarta ricorda ancora il giorno in cui capì che cosa avrebbe fatto nella vita. “Avevo cinque anni e facevo una passeggiata sulle Dolomiti”, racconta. “Nella mia famiglia c’erano tanti medici e scienziati e poco tempo prima mi avevano spiegato che tutti gli oggetti, animati e inanimati, sono composti dalle stesse particelle, gli atomi. A un certo punto mi sedetti su una roccia e vidi un insetto che ci camminava sopra. Mi venne un’idea: se la roccia, l’insetto, gli uccelli e gli esseri umani sono fatti delle stesse particelle, ma esistono per tempi diversi, deve esistere un modo per manipolare la materia e alterare il processo di invecchiamento. Mi sembrava logico. Decisi che da grande mi sarei occupato di quello”. A sei anni allestì il primo laboratorio casalingo e cominciò ad armeggiare con microscopi e provette. A Natale e al compleanno chiedeva modelli anatomici e strumenti chimici.

Oggi Quarta ha 48 anni e conserva ancora alcuni di quegli strumenti nella sua casa della Silicon Valley, dove ha fondato e guida una startup che si chiama Rubedo Life Sciences. Il nome viene dall’alchimia: in latino rubedo (‘rossore’) è l’ultima fase della Grande Opera, in cui si completano le trasmutazioni chimiche e si realizza la pietra filosofale, la medicina universale che cura ogni malattia e assicura la longevità. L’azienda sviluppa farmaci che eliminano le cellule senescenti, cioè quelle che smettono di riprodursi e rilasciano sostanze che provocano infiammazione. “Per ora vogliamo trattare malattie croniche legate all’età”, dice Quarta. “In futuro tratteremo persone ancora sane, prima che ne abbiano bisogno, per rallentare l’invecchiamento stesso. Significherebbe passare da una medicina reattiva a una preventiva”.

La storia di Marco Quarta

Quarta è nato a Bolzano e si è laureato in biotecnologie a Bologna, in un laboratorio sotto il patrocinio di Rita Levi-Montalcini e guidato da una sua pupilla, Laura Calzà. Nonostante avesse più di 90 anni e gli impegni come senatrice a vita, il premio Nobel frequentava ancora l’università. “Studiava note e dati, voleva sapere tutto. Aveva sempre un commento tecnico-scientifico puntuale per ogni studente e ogni professore. Per un giovane scienziato era un modello straordinario”.

Poi Quarta si è spostato a Padova per un dottorato in neuroscienze. “Finito il dottorato, nel 2007, tenni un seminario alla Sapienza. Tom Rando, un luminare della biologia dell’invecchiamento che insegnava a Stanford, mi sentì e mi invitò nel suo laboratorio. Pensai di andare per una settimana, per vedere l’ambiente”. Da allora Quarta non ha più lasciato la California. “Stanford mi piacque così tanto che rimasi per un anno. Poi aprii un laboratorio sulla medicina dell’invecchiamento e della rigenerazione”.

Imprenditore seriale

Sullo sfondo c’era sempre l’intenzione di creare una startup. Quarta ci aveva già provato a Padova, durante il dottorato, con WetWare Concepts, una società di nano-biotecnologie. “Vinsi la Startcup, una competizione di business plan accademici, e ottenni fondi e formazione su come lanciare una startup. L’azienda non è decollata come avrebbe potuto fare nella Silicon Valley, ma è ancora in piedi”. A Stanford ne ha fondate altre due. Una si chiama Turn Biochnologies, lavora a una terapia basata sull’rna per riprogrammare le cellule che invecchiano ed è sostenuta da Astellas, una grande casa farmaceutica giapponese. “In Turn sono stato chief scientific officer e sono ancora nel consiglio di amministrazione. Oggi però mi dedico soprattutto a Rubedo, per la quale ho anche lasciato Stanford”.

Rubedo ha già raccolto circa 55 milioni di euro di finanziamenti. Con quei fondi dovrebbe far partire un primo trial clinico tra qualche mese. Nel frattempo, a Milano, ha dato vita a Rubedo Italy, che diventerà la base per le operazioni in Europa. Ad aprile ha anche chiuso un accordo commerciale con Beiersdorf, la multinazionale tedesca proprietaria di marchi come Nivea e Coppertone, per una crema anti-invecchiamento. “Abbiamo un programma dermatologico di tipo terapeutico”, spiega Quarta. “Con questo accordo, svilupperemo un prodotto basato sulla stessa tecnologia, ma a scopo estetico”.

Le startup della longevità

Rubedo fa parte di un ecosistema di startup anti-invecchiamento che cresce nella Silicon Valley. Su alcune aziende hanno puntato alcune delle persone più ricche del mondo, come Jeff Bezos di Amazon e Sam Altman di OpenAI. La XPrize Foundation, una no profit statunitense, ha istituito un premio da 101 milioni di dollari per chi svilupperà terapie capaci di invertire il declino legato all’età. Tra i suoi principali finanziatori ci sono la Hevolution Foundation della famiglia reale saudita, che ha anche investito in Rubedo, e Chip Wilson, fondatore miliardario di Lululemon.

Con l’aumento degli investimenti e dell’interesse, sono sorte anche iniziative che sembrano appartenere più alla fantascienza che alla scienza. C’è chi parla di aumentare all’infinito l’aspettativa di vita, chi di fusioni tra uomo e macchina. “Per chi fa il mio lavoro, è frustrante che l’espressione ‘medicina della longevità’ sia stata diluita, contaminata da pseudo-scienza”, dice Quarta. “Non è obbligatorio che tutto avvenga nell’alveo della medicina. Sviluppare integratori, per esempio, va bene. Il problema è se si fa confusione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è e se viene meno il rigore nella ricerca”.

Per questo Quarta, assieme a figure del mondo farmaceutico e di quello del venture capital, ha creato una società scientifica no-profit chiamata Phaedon Institute. L’obiettivo dichiarato è favorire la crescita sostenibile delle scienze dell’invecchiamento e della longevità. “Vogliamo mettere insieme industriali, investitori, ricercatori, figure governative che si occupano delle singole aree, per alzare il livello di rigore scientifico”, spiega.

Le prospettive della ricerca

Questo significa anche fornire prospettive realistiche sui possibili esiti della ricerca. Alcuni scienziati, per esempio, hanno scoperto modi per allungare la vita di animali come vermi, insetti e roditori, ma Quarta precisa che “la transizione dal topo all’uomo è ancora impraticabile. Credo che, in linea teorica, si possa aumentare la durata massima della vita, ma con interventi e trattamenti che sono ancora lontani decenni o secoli. E non esiste alcuna prova scientifica che la vita possa essere allungata indefinitamente o che si possa rendere un essere vivente immune all’invecchiamento”.

Quarta ammette che “non sappiamo ancora allestire un trial per misurare l’invecchiamento”, o “quali sono i biomarcatori da considerare”. È convinto, però, che tra dieci anni il suo settore cambierà la medicina. “Sappiamo che trattare l’invecchiamento biologico è possibile, nello stesso modo in cui sapevamo di poter andare sulla Luna. Ci sono voluti investimenti enormi, abbiamo fallito tante volte, ma alla fine ci siamo riusciti. Nel trattamento dell’invecchiamento cellulare succederà la stessa cosa”.

Più che allungare la vita, Quarta vorrebbe allungare la salute, rendere gli 80 i nuovi 50. L’aspettativa di vita degli esseri umani, d’altra parte, è già raddoppiata nell’ultimo secolo. Ora supera i 70 anni a livello mondiale e gli 80 in un quarto dei paesi. In Italia è di 83 anni, a Monaco sfiora i 90. “Abbiamo già allungato la vita, ma al prezzo di tante malattie croniche”, dice. “Molti passano l’ultimo terzo della loro vita a gestirle. È una spirale che ha costi emotivi, personali e familiari, ma anche sociali ed economici”.

Che cosa possiamo fare già oggi

La società si regge sulla presenza di tante persone in età da lavoro che permettono di pagare pensioni e assistenza agli anziani. Oggi, però, la cosiddetta piramide demografica rischia di ribaltarsi: i bambini che nascono sono sempre meno, gli anziani vivono sempre più a lungo e quindi sono sempre di più. “Allungare di dieci anni il periodo in cui le persone restano in salute è un obiettivo realistico e basterebbe a risparmiare migliaia di miliardi di dollari. E poi guadagneremmo una generazione produttiva: le persone più esperte potrebbero rimandare la pensione, assumere nuovi ruoli e affiancare i giovani più a lungo”.

Mentre la ricerca fa il suo corso, aggiunge Quarta, le persone non devono in ogni caso “aspettare la pillola”. Tanti fattori che abbassano la qualità della vita con il passare del tempo “sono riconducibili alle abitudini. Esiste già una medicina della longevità ed è fondata su interventi come la dieta, l’esercizio fisico e la gestione dello stress e delle emozioni. Tutto questo resterà sempre la base su cui innestare ogni altro intervento. In nessun caso potremo chiedere a una pillola di riparare un corpo già gravemente danneggiato. Il primo passo è creare una cultura della longevità”.

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