Abu Dhabi Emirati Arabi Uniti
Business

Interventi militari e diversificazione dal petrolio: come gli Emirati Arabi sono diventati una potenza regionale

Articolo tratto dal numero di novembre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

“Gli Emirati Arabi Uniti non mischiano economia e commercio con la politica”, ha affermato nell’ottobre 2023 Thani Al Zeyoudi, ministro emiratino del commercio estero, per rispondere ai giornalisti sull’evoluzione dei rapporti con Israele dopo l’escalation a Gaza. Gli affari sono affari, dunque.

I rapporti commerciali tra Emirati Arabi Uniti (Eau) e Israele, dalla firma degli Accordi di Abramo nel 2020, sono infatti decollati, con un interscambio che ha superato i 2,5 miliardi di dollari. Il fondo sovrano emiratino Mubadala ha acquisito per 1 miliardo di dollari il 22% del campo gasifero off shore israeliano di Tamar. I due paesi stanno progettando un nuovo oleodotto per portare il petrolio emiratino dal porto israeliano di Eliat fino ad Ashkelon, e da lì verso l’Europa. Nel campo della difesa, invece, hanno stilato accordi per lo sviluppo congiunto di nuovi droni e di navi di 17 metri senza pilota, utilizzabili per il pattugliamento costiero.

Non più solo petrolio

Lo scopo di politica economica degli Eau è diversificare dagli introiti petroliferi, da cui deriva ancora il 30% del Pil. Il paese resta il settimo produttore mondiale di greggio ed è settimo anche per riserve. Per questo Abu Dhabi, da gennaio 2024, è entrata nel blocco dei paesi Brics. La Cina, in primis, è presente nel paese con circa quattromila aziende e 20mila lavoratori. La principale compagnia marittima cinese, la Cosco, ha eletto come suo hub regionale proprio il porto di Khalifa (Abu Dhabi), quinto per traffico di container a livello mondiale.

Gli Stati Uniti sospettano che proprio lì stia nascendo un avamposto militare cinese, come già successo in Gibuti. Abu Dhabi punta poi sull’intelligenza artificiale e dal 2017 ha creato un ministero apposito. Gli Usa, anche in questo campo, vogliono allontanare gli Emirati dall’influenza cinese. Ad aprile 2024 Microsoft ha annunciato un investimento da 1,5 miliardi di dollari in G42, la principale azienda di IA del paese.

Oltre che nell’IA, gli Eau investono anche sull’idrogeno verde. Nel 2023 hanno lanciato la Strategia Idrogeno 2050, che prevede la produzione di 1,4 milioni di tonnellate di idrogeno (di cui un milione di idrogeno verde) entro il 2031, fino ad arrivare, nel 2050, a 15 milioni di tonnellate annue.

Abu Dhabi sta puntando molto anche sulle infrastrutture, specialmente portuali e logistiche, forte della Abu Dhabi Ports Group e della Dp World. Quest’ultima azienda gestisce oltre 70 milioni di container l’anno (il 10% del traffico globale) ed è presente in oltre 60 terminal portuali, tra cui quelli di Gedda, Gibuti, Vishakhapatnam in India, Costanza in Romania e Algeri, dove ha investito 114 milioni di dollari. Sempre in Africa gli Emirati hanno aiutato l’Etiopia a sedare le rivolte nel Tigray con equipaggiamenti militari e addestratori. Abu Dhabi ha favorito lo storico accordo tra Etiopia e Somaliland (la ex Somalia Britannica, non riconosciuta indipendente dall’Onu e facente parte della Somalia) per l’utilizzo del porto di Berbera, fondamentale per il passaggio nel Mar Rosso.

Accordo fortemente osteggiato dalla Lega Araba, che l’ha giudicato lesivo della sovranità territoriale della Somalia. Gli Emirati, ghost writer di questo controverso accordo, si sono assicurati la costruzione di un’autostrada per congiungere l’Etiopia al porto di Berbera. In sordina è passata poi l’acquisizione, da parte della Emirates Telecommunication Group Company di Ppf Telecom Group, uno dei principali operatori di telefonia mobile dell’Europa dell’Est, con oltre 18 milioni di clienti in Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Serbia.

La politica estera degli Emirati Arabi

Dal punto di vista della politica estera, invece, Abu Dhabi sta attuando una strategia che viene definita ‘multivettoriale’. Ha riaperto nel 2022 il dialogo con l’Iran, con l’insediamento dei rispettivi ambasciatori. Malgrado questo riavvicinamento, hanno verosimilmente aiutato Israele a difendersi dall’attacco di droni e missili di Teheran ad aprile. Inoltre, insieme a Israele, partecipano all’accordo di difesa militare West Asia Quad con India e Stati Uniti. Abu Dhabi è stata anche l’unica, insieme alla Cina, a stabilire rapporti con i Talebani. Dallo scoppio della Primavere Arabe gli Emirati hanno preso parte a diversi scenari di conflitto, tra cui la Libia e lo Yemen, in maniera indiretta e ‘per procura’, tramite il finanziamento di milizie, gruppi paramilitari e contractor. Lo scorso anno sono stati accusati dall’esercito regolare sudanese di aver finanziato i ribelli delle Rapid Support Forces per avere accesso alle miniere d’oro del Paese.

L’esercito regolare emiratino conta 65mila effettivi: non pochi per uno stato con poco meno di dieci milioni di abitanti. Secondo il sito francese Intelligence Online, sarebbe in cantiere la creazione di una sorta di legione straniera con tre-quattromila uomini. La difesa degli Eau, finora, si è basata più su partnership con paesi esteri, come il West Asia Quad o l’Iniziativa Trilaterale con Francia e India. Per le forniture di dispositivi militari gli Emirati dipendono da sempre dagli Usa, anche se negli ultimi anni stanno cercando di diversificare, comprando da Turchia e Cina. Proprio gli accordi con Pechino hanno fatto infuriare gli americani, che hanno congelato la trattativa per la forniture di caccia F-35.

Gli Emirati, nell’ultimo decennio, grazie alle ricchezze derivanti dagli idrocarburi, hanno cercato il più possibile di far crescere l’economia non petrolifera e in politica estera si sono ritagliati un ruolo di potenza regionale che faccia da ago della bilancia. Prova ne è la mediazione per uno scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca. Allo stesso tempo hanno combattuto per procura in tutti gli scenari di guerra limitrofi per evitare il propagarsi di rivolte che avrebbero potuto cambiare lo status quo anche nel loro paese.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .