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23 ottobre 2025

La space economy vale più di 600 miliardi di dollari. E arriverà a 1.000 nel 2032

Secondo la Space Foundation, l’economia alimentata da apparati e programmi extraterrestri toccherà i 1.000 miliardi nel 2032
La space economy vale più di 600 miliardi di dollari. E arriverà a 1.000 nel 2032

Emilio Cozzi e Matteo Marini
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Emilio Cozzi e Matteo Marini

Contenuto tratto dal numero di ottobre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!

Oltre il cielo c’è ancora una prateria da conquistare. Quando si parla di space economy, la crescita ricorda una cavalcata inarrestabile, anche se a volte i numeri sembrano andare in controtendenza. In valori assoluti, secondo il rapporto più recente della Space Foundation, il fatturato si aggira attorno ai 613 miliardi di dollari a livello globale.

Bastino altri due dati per farsi un’idea: gli investimenti privati nell’economia spaziale hanno raggiunto un picco nel 2021, 10 miliardi di dollari, poi sono calati, a causa della situazione di incertezza geopolitica e dell’inflazione. Il valore del mercato spaziale, però, ha continuato ad aumentare, e non di poco: oltre il 7% anno su anno, nel 2024 più vicino all’8%.

È d’obbligo specificare che le cifre cambiano a seconda di chi, e soprattutto di come, valuta l’estensione e le ricadute economiche di un settore del quale, a cascata, beneficiano molti altri comparti. A maggio, per esempio, le stime di Novaspace parlavano di un fatturato globale di 596 miliardi di dollari.

La crescita della space economy

Quello su cui tutti concordano è il valore prodotto da satelliti di geoposizionamento e navigazione, telecomunicazioni, traffico dati e osservazione della Terra. L’economia alimentata da apparati e programmi extraterrestri cresce e continuerà a crescere nei prossimi anni per toccare presto i 1.000 miliardi (nel 2032, secondo la stima della Space Foundation), o addirittura i 1.800 entro il 2035, secondo quanto previsto l’anno scorso da McKinsey & Co. per il World Economic Forum.

Nonostante le incertezze, dunque, il settore si espande e produce valore, segno che il mercato è lungi dalla saturazione. Per Seraphim Space, leader negli investimenti, il 2024 è stato un anno eccezionale per la tecnologia spaziale, con 8,6 miliardi di dollari investiti, rispetto ai 6,9 miliardi del 2023 (+25%). Ne è una prova la frequenza dei lanci: oggi, in media, decolla quasi un razzo al giorno verso l’orbita terrestre bassa (fra i 200 e i 100 chilometri di quota). A fine agosto si è toccata quota 200 lanci, di cui una larga maggioranza (oltre 120) firmata da SpaceX, in particolare per la costellazione proprietaria Starlink.

Spazio privato

Elon Musk e la sua azienda dominano molte classifiche, anche quella del numero di satelliti operativi. Ad agosto hanno superato la soglia degli ottomila. Di tutta la ricchezza prodotta, solo il 22% deriva da investimenti pubblici, il restante 78% è alimentato da business privati. Una delle ragioni è che i servizi di geoposizionamento, navigazione e timing – cosiddetti Pnt – generano un terzo della ricchezza. Si tratta di costellazioni pubbliche (Gps, Galileo, Glonass e BeiDou), quindi di dati gratuiti che alimentano il business dei privati capaci di sfruttarne i servizi. Oltre a guidarci a destinazione e a trovare per noi il ristorante più vicino, le costellazioni Pnt sono faro e guida di flotte aeree e navali in tutto il mondo, come anche del corriere che consegna il pacco sulla soglia di casa. Nondimeno, grazie agli orologi atomici di cui sono dotate, regolano la precisione dei servizi finanziari, di banche e borse.

Anche il settore delle comunicazioni che passano dallo spazio oggi vale quasi un altro terzo del totale e ha ancora grandi margini di incremento. A un declino dei servizi broadcast (la tv via satellite perde quota rispetto allo streaming) corrisponde un’ascesa di quelli satellitari in orbita bassa: sono comunicazioni (voce e dati) e applicazioni civili e per la difesa, capeggiate da Starlink, che nei prossimi anni potrebbe essere insidiata da OneWeb e Kuiper, dalle costellazioni cinesi e da quelle europee. Fra queste ultime, è auspicabile ci siano Iris2, dell’Unione europea, e la costellazione italiana di cui il ministero delle Imprese e del made in Italy sta esplorando la fattibilità da tempo.

A dare energia al comparto sarà sempre più la domanda di connessione per dispositivi, sensori e apparecchi collegati attraverso internet of things, che diventeranno indispensabili per il monitoraggio del territorio e per l’agricoltura di precisione in zone remote e poco servite. Non ultima, la richiesta di banda larga da satellite direct-to-cell, un servizio da poco inaugurato da SpaceX con la compagnia telefonica T-Mobile.

Ci sono oltre diecimila satelliti operativi attorno alla Terra. Tolti gli Starlink, la maggioranza serve a osservare il pianeta, per scopi sia civili che militari (ancora un mercato limitato, ma in grande espansione: fino a 139 miliardi entro il 2034, suggerisce il rapporto Novaspace). Quella militare è, non a caso, la terza voce per importanza nel computo della space economy, ben oltre i 60 miliardi di euro, alimentata da una spesa statunitense monstre rispetto agli altri attori.

La fine del romanticismo?

Poco si concede al ‘romanticismo’ delle missioni sulla Luna e oltre: l’esplorazione spaziale e la scienza sono briciole rispetto a un’economia che, per muovere tanto, rimane giocoforza con i piedi ben saldi a terra. Da anni, ormai, la stragrande maggioranza dei satelliti messi in orbita è costituita da smallsat, con una massa fra il chilogrammo e la tonnellata e mezzo. Nel 2024 hanno rappresentato il 97% degli oggetti immessi in orbita, e il 78% della massa lanciata. Più leggeri, veloci da costruire ed economici (quindi anche più facili da rimpiazzare), sono i nodi ideali per costellazioni e mega costellazioni.

È significativo che SpaceX, Amazon e OneWeb vi abbiano puntato dall’inizio. Sono una rivoluzione che ha aperto la porta alla produzione in serie e in parallelo. Grazie a questo nuovo paradigma, in Italia è nata in tempi record la prima multi-costellazione nazionale di osservazione della Terra, Iride, finanziata con i soldi del Pnrr e costruita da aziende come Thales Alenia Space, Ohb, D-Orbit, Sitael e Argotec. Imprese che stanno reinventando la produzione, con space factory in grado di cavalcare un’onda che ha solo iniziato a levarsi.