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26 novembre 2025
Il programma americano è in ritardo, Pechino festeggia progressi continui. E sogna un sorpasso inimmaginabile pochi anni fa
Ancora due anni fa, sul sito della Nasa, si leggeva che “entro il 2025” una astronauta statunitense avrebbe messo piede, per la prima volta, sulla Luna. Oggi sappiamo che non accadrà: la missione del prossimo allunaggio umano, Artemis III, resta prevista per il 2027, sebbene anche su questa data nessuno sia disposto a scommettere. E mentre il viaggio propedeutico al nuovo grande balzo, Artemis II, è atteso tra il 5 febbraio e la fine di aprile 2026, la destinazione va tingendosi di un colore diverso: è una Luna rossa. Rosso Cina.
Nell’antichità la Luna rossa, quella dell’eclissi, era portatrice di sventura. Lo sbarco di taikonauti – come si chiamano gli astronauti cinesi – e la bandiera del Dragone piantata per prima, a Washington, sono in effetti considerati tali: una disfatta. Perché non rappresentano solo un traguardo simbolico: chi per primo arriverà sulla Luna “plasmerà le regole di ingaggio nello spazio per i decenni a venire”, ha detto Allen Cutler, presidente e ceo della Coalition for Deep Space Exploration, durante un’audizione a inizio settembre del Senate Committee on Commerce, Science and Transportation.
L’idea è che, arrivando prima, Pechino capeggerà la nuova corsa allo spazio: “Mettiamola così: la Cina atterra sulla Luna. Il giorno successivo ne avrà grandi benefici politici, non solo nell’esplorazione spaziale, ma per accordi di sicurezza nazionale e commerciali”, ha affermato Mike Gold, della compagnia spaziale Redwire. “Si renderanno più forti e profondi i legami economici con India e Russia”. Non a caso, un rapporto recente della Commercial Space Federation, la principale associazione di categoria dell’industria americana, ha paventato il sorpasso cinese non tanto nella corsa selenica, ma alla guida di un “nuovo ordine spaziale” tout court.
La rimonta cinese
Dieci anni fa, quando il programma Artemis nacque, gli Stati Uniti erano favoriti: forti di un’esperienza unica e di tecnologie più avanzate, la loro posizione nella geopolitica spaziale era dominante. Anche per questo inaugurarono un piano di ritorno alla Luna grandioso; ma insieme inesplorato e, con il senno di poi, più complesso del previsto. Per paradosso, oggi il problema si chiama Elon Musk: l’imprenditore che ha rivoluzionato il settore, nel caso della nuova ‘space race’ non rende quanto promesso.
Dall’altra parte del Pacifico, invece, Pechino ha cresciuto un ecosistema spaziale che, da emergente, si è tinto di avanguardia: la Cina è stata la prima – e finora l’unica – a sbarcare un robot sul lato nascosto della Luna. Quindi, con un’altra missione da quell’emisfero, ha portato sulla Terra campioni di suolo. Un risultato storico.
Parlare già di sorpasso sarebbe azzardato, ma è evidente quanto i dubbi emersi dalla stessa Nasa raccontino un testa a testa impronosticabile solo pochi anni fa. Nel corso della presentazione della nuova classe di candidati astronauti, forse come buon auspicio, il senatore repubblicano Ted Cruz ha citato il discorso che John Fitzgerald Kennedy tenne alla Rice University nel settembre del 1962: “Andiamo sulla Luna non perché sia facile, ma perché è difficile”. All’epoca la Nasa si impose un balzo gigantesco non solo per battere l’Unione Sovietica, ma per l’impresa in sé, tecnologicamente titanica.
Una nuova era spaziale
Negli anni ‘60, però, titanici erano anche i fondi della Nasa: secondo la Planetary Society, l’intero programma Apollo costò 280 miliardi di dollari attuali e il budget Nasa arrivò ad assorbire fra il 2 e il 4,4% della spesa federale. Tutto per approntare sette missioni di, al massimo, 12 giorni. Oggi, con un budget molto più limitato (l’intero bilancio Nasa non arriva allo 0,4% della spesa nazionale), si intende ‘andare per restare’.
Artemis II, la prima missione a dirigere verso la Luna dal 1972, decollerà entro il prossimo aprile con quattro astronauti (tre statunitensi e un canadese) a bordo della capsula Orion, che decollerà in testa al potente e costoso Space Launch System (Sls). Gireranno attorno al satellite naturale e torneranno, come fecero gli equipaggi dell’Apollo 8 e dell’Apollo 13. Ma se collaudare Orion e Sls porterà Washington un passo avanti, il successo di Artemis II non rappresenterà nemmeno metà dell’opera.
Sistemi a confronto
Né l’America né la Cina, oggi, hanno un sistema per allunare persone. La seconda ha iniziato i test del veicolo Lanyue, per ora qualche accensione di propulsori per scendere e risalire. È una soluzione simile a quella delle missioni Apollo: un lander a quattro zampe con un modulo di risalita.
La Nasa ha invece deciso di affidarsi a Musk; ma, nonostante i numerosi traguardi tagliati dal tycoon con la sua SpaceX e l’affidabilissimo Falcon 9, il sistema di lancio deputato ad allunare, la Starship, accumula ritardi. Alcuni ispettori che ad agosto hanno visitato gli stabilimenti dell’azienda hanno dichiarato che il programma è in ritardo. Forse “di anni”. La stessa presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, si è detta preoccupata per i test di aggancio e, in particolare, di rifornimento in orbita. “Speriamo non sia difficile quanto alcuni dei miei ingegneri pensano possa essere”, ha ammesso pubblicamente. A due anni e mezzo dal primo volo, Starship non è nemmeno entrata in orbita. E, prima di accomodarci qualche astronauta, serve almeno provare possa arrivare sulla Luna e tornare indietro tutta intera.
I tempi, però, stringono e ritardare “di anni” l’approccio alla Luna significa rinviarlo al 2029 o al 2030. Nel mentre, la Cina mette pressione: vuole anticipare al 2026 i test del nuovo lanciatore, il Lunga Marcia 10, e arrivare per prima al polo sud, dove si pensa siano concentrate risorse preziose (dal ghiaccio d’acqua all’elio-3, fino alle terre rare). “A meno che non cambi qualcosa, è molto improbabile che gli Stati Uniti battano il cronoprogramma lunare della Cina”, ha pronosticato nella stessa udienza in Senato Jim Bridenstine, numero uno della Nasa durante il primo mandato Trump. A ispirare il titolo del convegno era stata una popolare canzone rock: Bad Moon Rising, capolavoro dei Creedence Clearwater Revival. Immagine che la band scelse per descrivere l’Apocalisse.