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24 ottobre 2025

Competenze e capitali: le chiavi per la competitività delle Pmi italiane

Le imprese familiari sono l’architrave del sistema economico nazionale, racconta Ludovico Mantovani, founding partner Pirola Corporate Finance, ma occorre restare al passo con i tempi per non soccombere dinanzi alla competizione globale
Competenze e capitali: le chiavi per la competitività delle Pmi italiane

Luigi Dell'Olio
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Luigi Dell'Olio

Capitali, ma non solo. Anche energie fresche e competenze. È quello che serve alle Pmi italiane per accrescere la propria competitività nell’arena globale secondo l’analisi di Ludovico Mantovani, founding partner Pirola Corporate Finance, società di advisory in finanza strategica.

La vostra realtà è nata nel 2016. Com’è cambiato in questo periodo il mercato dei capitali in Italia, anche rispetto ai partner europei?

In questi anni abbiamo assistito a una forte crescita del mercato dei capitali privati all’interno del sistema finanziario italiano. In particolare i fondi di private equity, con l’ingresso sul mercato di nuovi operatori, italiani e internazionali, che si sono distinti per l’ampliamento delle proprie attività. Il pe è infatti diventato sempre più un soggetto in grado di dare un supporto strategico ed operativo alle aziende, in aggiunta al capitale messo a disposizione. La peculiare struttura del nostro sistema industriale ha inoltre promosso lo sviluppo di altri player che hanno arricchito ulteriormente l’offerta di capitali per le imprese. Mi riferisco, in particolare, al ruolo esercitato dai club deal e dai family office che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato sempre più importante. Infine, anche la Borsa, prima attraverso Aim, ed ora con Euronext Growth, ha favorito ulteriori opportunità di raccolta di capitali per le nostre aziende.

La riforma del testo unico della finanza ha l’obiettivo di incentivare l’investimento nelle Pmi non quotate. Più in generale, quali potrebbero essere gli effetti della riforma sull’attrattività delle piccole e medie imprese italiane per gli investitori nazionali e internazionali?

Faccio una premessa. Nel nostro Paese esiste una base di imprese solide, che hanno raggiunto importanti risultati e sono dunque particolarmente attrattive sia per gli investitori italiani, che internazionali. Credo che la riforma del testo unico della finanza possa incrementare ulteriormente l’attenzione degli investitori nei confronti dell’universo rappresentato dalle piccole e medie imprese.  Principalmente perché ha l’obiettivo di contribuire a ridurre la burocrazia e i costi che le aziende devono affrontare nel corso, ad esempio, delle operazioni di m&a. Più in generale, ritengo rappresenti un ulteriore passo avanti per allineare il nostro paese agli standard internazionali.

In Italia ci sono circa 16 mila aziende familiari italiane che generano un fatturato complessivo di oltre 1.200 miliardi. Quali sono le criticità maggiori che gli imprenditori si trovano ad affrontare nel contesto attuale?

Più che di criticità, parlerei, in particolare per le piccole e medie imprese italiane, di sfide esistenziali. Mi riferisco innanzitutto alla crescita dimensionale, poiché è fondamentale che le nostre eccellenti Pmi possano aumentare la propria scala operativa per affrontare l’arena competitiva internazionale, per così dire, con spalle più larghe e con strutture maggiormente adeguate all’attuale scenario mondiale. Dobbiamo poi considerare le questioni legate al passaggio generazionale. Sono moltissime le nostre straordinarie aziende che sono ancora oggi gestite dalla prima generazione di imprenditori, con un’età media che supera i 60/70 anni. E questo può rappresentare, sul lungo periodo, un fattore di debolezza intrinseca che deve essere affrontata in maniera tale da poter garantire all’azienda un futuro sempre più indipendente dalla figura del proprio fondatore, o azionista unico. Come? Le aziende devono trovare una continuità gestionale che porti, in maniera graduale, alla sua sostituzione. E poi c’è la questione legata alla managerializzazione delle imprese, e cioè all’evoluzione verso una gestione basata sull’ottimizzazione dei processi, sull’analisi e sulla pianificazione strategica, in cui il manager è in grado di assumere ruoli sempre più rilevanti all’interno dell’azienda.

La Legge di Bilancio 2026 prevede una serie di misure per sostenere la crescita delle aziende. Quali potrebbero essere i benefici più importanti per le piccole e medie imprese italiane?

Credo che le norme previste dalla Legge di Bilancio 2026 possano contribuire ad incentivare la crescita delle aziende italiane.  Grazie in particolare agli interventi previsti per favorire gli investimenti in sviluppo e innovazione, supportare la liquidità e alleggerire la pressione fiscale. Se consideriamo poi che stiamo assistendo, in generale, ad un processo di integrazione, espansione e razionalizzazione delle aziende, è verosimile pensare che ci possa essere un ulteriore impulso soprattutto alle operazioni di aggregazione.

Quali sono le sue previsioni sull’andamento del settore m&a in Italia e in Europa nei prossimi mesi?

Guardiamo con cauto ottimismo alle sfide e alle opportunità che ci attendono. Se dovessi scegliere un aggettivo per descrivere il mercato in cui ci muoveremo, direi resiliente. In tale contesto, per molte aziende, le attività di m&a rappresenteranno una soluzione obbligata. Riteniamo dunque che ci troveremo di fronte ad un buon numero di deal nel mondo delle piccole e medie imprese. E in molti casi, queste operazioni saranno propedeutiche al completamento di un passaggio generazionale e ad una crescita dell’aziende per linee esterne. Ma dobbiamo considerare anche i fattori di criticità. Oltre all’instabilità del contesto geopolitico e all’andamento operativo non molto brillante per molte realtà nel corso del 2025, non possiamo essere indifferenti a un quadro normativo che, nonostante gli sforzi del legislatore verso la semplificazione, resta sempre più complesso e macchinoso. Credo, per questo, che le difficoltà possano essere maggiori per i deal di medie e grandi dimensioni.