Da non perdere |Good Stories
23 dicembre 2025
Nicolò Di Giacomo, responsabile di Banor, racconta un settore a cui in Italia si guarda con sempre maggiore interesse
Contenuto tratto dal numero di dicembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Un tempo quasi sconosciuti in Italia, oggi i family office sono sempre più ricercati dai più ricchi. Quello di Banor opera all’interno di una Sim vigilata dalle autorità nazionali e con un modello di pura consulenza. Una scelta che lo distingue da gran parte dei concorrenti.
In Italia, fino a non molti anni fa, il termine family office era quasi un oggetto misterioso per molte famiglie. Evocava un mondo riservato a poche casate industriali, con patrimoni dalla dimensione rara. Oggi, però, lo scenario sta cambiando in fretta: secondo le stime della School of Management del Politecnico di Milano, sul territorio nazionale operano ormai oltre 200 strutture, tra single e multi-family office, e la domanda da parte delle famiglie imprenditoriali cresce a ritmi che fino a un decennio fa nessuno avrebbe immaginato.
È il segno di una trasformazione culturale profonda: le nuove generazioni, chiamate sempre più spesso a gestire eredità complesse, chiedono trasparenza, metodo e un supporto professionale che integri, senza necessariamente sostituirle, le loro relazioni storiche con banche e intermediari.
A confermarlo è Nicolò Di Giacomo, 39 anni, studi in Gran Bretagna, responsabile del family office di Banor, realtà indipendente attiva da oltre 25 anni nella gestione patrimoniale e nel wealth management. “Soltanto sette anni fa, quando incontravamo per la prima volta i potenziali clienti, gran parte del tempo lo impiegavamo a spiegare che cos’è un family office”, racconta. Si tratta, per chi non lo conoscesse ancora, di una società di servizi che si prende cura del patrimonio di una o più famiglie facoltose, agendo come centro di coordinamento per la gestione finanziaria e amministrativa.
Di strada, in Italia, queste realtà ne hanno ormai fatta molta. Non soltanto le famiglie imprenditoriali conoscono meglio questo strumento, ma lo ricercano spontaneamente, soprattutto nei passaggi generazionali o dopo un evento di liquidità, quando cioè hanno venduto l’azienda o qualche asset familiare, incassando somme di grande entità. Le nuove generazioni spesso ereditano patrimoni costruiti nel corso di decenni, stratificati in strumenti differenti e frutto di scelte episodiche.
“C’è una metafora calcistica che ben rappresenta la situazione in cui si trovano molti patrimoni”, prosegue Di Giacomo. “È come una squadra con notevoli risorse finanziarie che negli anni ha acquistato giocatori ottimi, ma non sempre in grado di giocare bene assieme. La prima cosa che chiede chi eredita certi asset è un audit completo: vuole capire cosa c’è in campo, come funziona e cosa va ottimizzato”.
In un mercato eterogeneo come quello dei family office italiani, convivono strutture molto diverse tra loro: boutique finanziarie, professionisti indipendenti e realtà non regolamentate. Banor ha scelto di avere un’identità ben definita. Il family office opera all’interno di una Sim vigilata dalle authority nazionali, caratteristica che lo distingue da molti competitor e che impone standard elevati in termini di processi, trasparenza e controlli. Ancora più rilevante è la scelta del modello: pura consulenza, nessuna gestione diretta dei titoli, ma selezione e allocazione su gestori terzi di livello internazionale. È un’impostazione ispirata ai grandi family office anglosassoni, che punta a eliminare conflitti d’interesse e garantire indipendenza nelle valutazioni.
Per sostenere questo approccio servono dimensioni, tecnologia e competenze specialistiche. “Il nostro team conta oltre 20 professionisti”, spiega Di Giacomo, “con aree dedicate agli hedge fund, ai co-investimenti, alla due diligence sui gestori. Un family office, per funzionare davvero, richiede un’infrastruttura costosa: sistemi di reporting evoluti, sicurezza informatica, gestione del rischio. Sono investimenti che possono essere sostenuti soltanto da realtà capaci di creare economie di scala”.
Anche per questo il family office di Banor può contare sull’infrastruttura It e di risk management interna alla Sim, capace di garantire efficienza e protezione dei dati in un momento in cui la cybersecurity è una voce cruciale per qualsiasi grande patrimonio.
Negli anni, il family office di Banor, che offre consulenza su 6 miliardi di euro di asset (su 13 miliardi di euro di Aus della Sim) è diventato dunque un polo strutturato, con team dedicati anche ai co-investimenti diretti al fianco anche di fondi internazionali. È un’area in forte crescita, che permette alle famiglie di investire in aziende fortemente legate alla cosiddetta economia reale. “Seguiamo questa attività con tre professionisti full time”, racconta Di Giacomo. “Ed è un valore aggiunto importante, perché consente ai nostri clienti di partecipare a operazioni selezionate, esclusive, con partner che stimiamo”.
In un mercato frammentato, in cui molti operatori faticano ad affrontare la crescente complessità regolamentare e tecnologica, Banor si trova anche nella posizione di possibile aggregatore di altre realtà un po’ più piccole. “Senza fretta e senza necessità”, precisa Di Giacomo, “ma con attenzione ai team di qualità: pensiamo che i costi fissi del settore continueranno a salire. Se un domani arriverà una regolamentazione più stringente, la barriera d’ingresso nel nostro mondo sarà ancora più alta. In questo contesto ha senso confrontarsi con realtà valide, quando c’è l’opportunità di attivare sinergie utili per entrambe le parti”.
Anche il business dei family office, come tutto il mondo finanziario, è interessato dalla forza dirompente dei cambiamenti portati dall’intelligenza artificiale. Per Di Giacomo, si intravedono indubbiamente trasformazioni profonde in tutto ciò che ha a che fare con i processi aziendali, l’operatività e la reportistica. L’unico fattore che non verrà intaccato, a suo giudizio, è la relazione con il cliente. Perché, alla fine, il suo mestiere si basa in primo luogo sulla fiducia. E quella non si improvvisa, né si costruisce con un algoritmo.