Articolo tratto dal numero di settembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
“La prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge”. Il detto popolare si attaglia bene a molte storie del capitalismo italiano e alla difficoltà insita nel cosiddetto passaggio generazionale quando cioè la ricchezza costruita dal nonno viene solo conservata dal figlio e, quel che è peggio, distrutta dal nipote. Ma anche il detto popolare, sposato da molti studiosi dell’industria del nostro Paese, può rivelarsi sbagliato. È il caso della dinastia bergamasca della famiglia Pesenti costituita dal nonno Carlo, dal figlio Giampiero e dal nipote Carlo: i primi due sono defunti (Carlo nel 1984 e Giampiero nel 2019) mentre il rappresentante della terza generazione è nato nel 1963.
Cinque anni fa nel 2016, Giampiero e Carlo Pesenti decisero di vendere il ‘gioiello’ della famiglia costruito da padre, la Italcementi (controllata al 45% attraverso la Italmobiliare) alla tedesca HeidelbergCement, che pagò 10,6 euro per azione con un premio del 70% per cento sugli ultimi due mesi del prezzo di Borsa. I Pesenti incassarono 1,67 miliardi, di cui un miliardo abbondante in contanti. Molto si scrisse, allora, circa il fatto che un altro pezzo importante dell’industria italiana fosse finito in mani straniere, ma tre sono le certezze. La prima è che i venditori spuntarono da HeidelbergCement una valutazione di Italcementi di 7 miliardi di euro, pari a 10 volte l’ebitda; la seconda è che il prezzo offerto era quindi irresistibile e la terza, forse la più importante, era che Giampiero e Carlo avevano deciso di vendere avendo capito in anticipo che il business del cemento era arrivato al massimo e che da quel momento in poi nel settore avrebbero dominato solo i giganti.
Al figlio Carlo fu quindi lasciato un compito gravoso: dare un nuovo destino a Italmobiliare, fondata nel 1946 dal nonno e arrivata in borsa nel 1980, e impiegare in modo redditizio quella montagna di liquidità. La terza generazione ha quindi distrutto o è stata capace di conservare o addirittura di crescere? Oggi Italmobiliare è una investment company che dopo cinque anni dalla vendita di Italcementi ha costruito un portafoglio di quote di controllo o di minoranza in molte medie imprese italiane di eccellenza: dal Caffè Borbone agli scarponi da sci Tecnica, dai profumi Santa Maria Novella ai produttori e distributori di energia Agn e Italgen, dal poliambulatorio Casa della Salute al salumificio Capitelli, dalla piattaforma di e-commerce di vini Callmewine fino alla meccatronica di Iseo.
Al tempo stesso il Pesenti della terza generazione, come fece il padre per il cemento, ha capito in anticipo che il business del private equity sarebbe stato forse addirittura più redditizio della borsa, tanto che già nel 2016 rilevò Clessidra, il gruppo fondato dal defunto Claudio Sposito, ex Morgan Stanley e poi passato per un breve periodo alla guida di Fininvest. Acquisendo Clessidra dalla vedova Sposito, Pesenti portò a casa i due fondi già attivi con le loro partecipazioni. Dalla sua fondazione nel 2003, Clessidra ha completato 24 operazioni per un enterprise value aggregato di 18 miliardi e un equity value di 1,8 miliardi, 27 add-on e 21 disinvestimenti.
Nel 2019, Clessidra ha avviato una strategia di diversificazione che ha progressivamente ampliato le attività negli investimenti alternativi e oggi opera attraverso le tre società Clessidra Private Equity Sgr, Clessidra Capital Credit Sgr e Clessidra Factoring, specializzate rispettivamente nel private equity (con tre fondi), nel settore dei crediti unlikely-to-pay (utp) e del factoring. Ci sono poi gli investimenti che Pesenti ha fatto in altri private equity come il Bdt di Byron Trott (quello su cui ha puntato anche John Elkann), i fondi Connect, Iconiq, Isomer, Lauxera e Lindsay Goldberg per un commitment di circa 100 milioni di euro.
Il Pesenti della terza generazione è riuscito, secondo i dati Italmobiliare al giugno scorso, a sfondare il tetto dei 2 miliardi di euro di Nav con una crescita del Nav delle portfolio companies a 1.252 milioni (+130,7 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2020). Tra le quote di minoranza figurano fra l’altro lo 0,2% della banca svizzera Vontobel e il 24% circa del Gruppo Florence che punta al made in Italy della moda mentre Carlo Pesenti ha venduto le partecipazioni anche in tal caso di minoranza nei salotti buoni di Mediobanca e Rcs. Ha preferito, lui rappresentante della terza generazione di imprenditori bergamaschi, puntare non sulla finanza o sull’editoria, ma sull’economia reale.
E i numeri gli hanno dato ragione. Basti pensare che nel 2015 in Italia Italcementi segnava ricavi per 517 milioni, con un ebitda di 8,4 milioni e 3.882 dipendenti mentre l’aggregato 2020 di Italmobiliare vale 1,5 miliardi di ricavi e un ebitda di 255 milioni, con 6800 dipendenti. Di fatto in cinque anni Italmobiliare in Italia grazie alle scelte del nipote del fondatore Carlo Pesenti ha reinvestito larga parte del ricavato dalla cessione di Italcementi (oltre mezzo miliardo) e ha creato un gruppo di partecipazioni industriali molto più grande e certamente più solido e profittevole di quello ceduto. Com’era la storia di quel detto popolare?
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