In una giornata di contrattazioni relativamente calma a Wall Street, ieri, nessuno poteva immaginare che Elon Musk avrebbe sganciato una bomba capace di far detonare i listini della Borsa americana. L’istrionico miliardario di origine sudafricana verso ora di pranzo di ieri (la serata italiana) ha infatti scritto un tweet per i suoi 22 milioni di follower: “Sto considerando di rendere Tesla una società privata, arrivata a (un prezzo di) 420 dollari per azione. Le risorse finanziarie sono assicurate”. L’idea del fondatore della società di auto elettriche più famose al mondo sarebbe quindi quella di togliere Tesla dal listino di Wall Street riportandola dallo status di public company a quella di società partecipata da un manipolo di soci privati.
Ovviamente la rilevazione non è passata inosservata agli investitori, che hanno fatto guadagnare alle azioni della società di auto elettriche 8 punti percentuali, prima che nel pomeriggio il titolo venisse sospeso per eccesso di rialzo. In una lettera agli impiegati apparsa qualche ora dopo sul blog di Tesla, Musk ha spiegato che la decisione non è ancora definitiva, e in ogni caso sarebbe sottoposta al voto degli azionisti (lo stesso Musk, nonostante il suo ruolo di ceo della società, è titolare soltanto del 20% delle sue azioni).
La mossa del tycoon – che prelude a un affare miliardario: con l’obiettivo fissato da Musk, Tesla raggiungerebbe una valutazione di 70 miliardi di dollari – è stata parecchio criticata: parlando col Washington Post, Teresa Goody, ex funzionaria della Securities and Exchange Commission (la Consob statunitense) ha detto senza mezze parole che “non è ragionevole aspettarsi che gli investitori tengano strettamente d’occhio i tweet di Musk”. Senza contare che, secondo altri, il brevissimo messaggio diramato sul social network potrebbe essere oggetto di indagini: Cnbc ha intervistato l’ex presidente della Sec Harvey Pitt, il quale ha dichiarato che “se i commenti di Musk sono stati pubblicati con l’intento di muovere il prezzo delle azioni, si potrebbe trattare di manipolazione, e anche di frode finanziaria”. Tanto più che con il +10,99% fissato alla chiusura di ieri (37,58 dollari), Musk ha visto crescere il suo patrimonio personale di circa 900 milioni di dollari, anche se solo a livello virtuale.
Tra i tanti, c’è almeno un altro caso di post sui social media che hanno causato le ire delle autorità che regolano il mercato americano: nel 2012 Reed Hastings, fondatore e amministratore delegato di Netflix, usò una sua pagina personale su Facebook per annunciare che per la prima volta il servizio aveva totalizzato più di 1 miliardo di ore di streaming online mensile. La Sec non la prese bene e – pur non prendendo provvedimenti nei confronti di Hastings o di Netflix – specificò le regole a cui le società pubbliche quotate in America devono attenersi: “Account social personali di individui impiegati da una società pubblica non saranno normalmente canali attraverso cui la compagnia diffonde informazioni aziendali sensibili”, rendeva noto l’organo di vigilanza in un comunicato.
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