Articolo tratto dal decimo numero di ForbesITALIA. Scopri l’ultimo numero.
Italiani brava gente? Probabilmente sì, anche grazie all’avvento della filantropia moderna. Ma mentre negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in generale l’attività benefica trova risalto in numerose forme – Forbes ha pubblicato ad esempio la classifica America’s Top Givers -, in Italia l’attività non gode di molta pubblicità. E questo nonostante il valore della filantropia italiana sia il terzo più alto in Europa, pari a circa 9 miliardi di euro (in Inghilterra sono 25 miliardi).
Cosa serve allora perché l’Italia possa definitivamente mettersi al passo dei Paesi più sviluppati? Nel mondo anglosassone sia le società sia le persone devolvono sistematicamente una percentuale che può variare tra il 5% e il 20% dei guadagni in opere di charity”, spiega Emanuel Arbib, ceo della londinese iAM Capital group, che da diversi anni è impegnata sia nel coadiuvare la raccolta fondi sia nell’aiuto diretto. Merito anche di un trattamento fiscale che incentiva questo tipo di attività.
“In Inghilterra”, chiarisce Arbib, “chiunque crei una piccola fondazione personale riceve il 100% di sgravi fiscali su tutto ciò che è stato messo al suo interno. Esistono anche fondazioni multifamily, il funzionamento è lo stesso, ma in più c’è una commissione del 5%. Negli Usa, dove c’è una tassa importante sulle successioni, con i contributi alle fondazioni i grandi patrimoni godono di un’enorme deduzione. Così Warren Buffett ha donato il 95% del suo patrimonio, come hanno fatto anche George Soros, Bill Gates e molti altri. Si tratta di mosse efficienti dal punto di vista fiscale, ma che contemporaneamente aiutano settori importantissimi come il welfare, l’educazione e la ricerca. Lo Stato dal canto suo vede favorevolmente queste donazioni, perché vi è la convinzione che il privato sarà più efficiente nell’allocare le risorse”. Insomma, oltreoceano vige la convinzione che se il businessman fa beneficenza lo farà probabilmente con lo stesso acume con cui gestisce gli affari. “In Italia invece il sistema fiscale non incentiva allo stesso modo, sia perché non vi sono quasi imposte di successione, sia perché le detrazioni sono più limitate e meno automatiche, a parte il modesto cinque per mille”.
In attesa di incentivi più validi, buona parte delle fortune della charity tricolore passa dalla tecnologia. Gaia Ceccaroli, communication, pr e charity consultant tra le più affermate nonostante la giovane età, ha avuto modo di farsi le ossa nel numero uno mondiale delle aste di beneficenza online: l’americana CharityBuzz. La stessa che qualche tempo fa ha battuto per 610mila dollari un pranzo con Tim Cook, numero uno di Apple. “Posso definirmi una digital fundraiser”, dice Gaia, esperta di aste di beneficenza online. “Si tratta di aste aperte a persone di tutto il mondo, esperienze e oggetti unici. Tanto glamour con la forza di sensibilizzare l’opinione pubblica a temi sociali”.
L’idea dunque è quella di affiancare alla tecnologia l’uso di testimonial che possono partecipare a eventi oppure decidere di donare un’esperienza insieme a loro e proporla online. Gaia ha aiutato no-profit italiane sia con la realizzazione di eventi, come ha fatto per la Fondazione Francesca Rava, tra le realtà che godono di massima reputazione nel settore, oppure per Convivio, per il quale ha fatto parte del comitato promotore. Creato nel 1992 da Gianni Versace, poi affiancato da Gianfranco Ferrè, Valentino e Giorgio Armani, Convivio è uno degli eventi di charity più grandi d’Italia: un esclusivo gala e una mostra mercato dove grandi firme donano capi che poi diventano oggetto di shopping solidale. Alla sua ultima edizione ha raccolto oltre 2 milioni di euro a beneficio della sezione lombarda di Anlaids. Un traguardo importante considerato che il notissimo Met Gala di New York raccoglie ogni anno tra i 10 e i 12 milioni. Ma Convivio non è l’unico evento di eccellenza in Italia, dove hanno un posto di primo piano anche la cena della fondazione San Patrignano, quella della Fondazione Cometa, della fondazione Laureus, e della fondazione Tog. Spesso alle spalle di queste istituzioni vi sono grandi famiglie imprenditoriali, ma “proprio la tecnologia”, aggiunge Ceccaroli, “ha allargato la platea di donatori anche a professionisti e manager”.
Chi ha fatto un passo ulteriore sul fronte delle nuove tecnologie applicate al mondo della beneficienza è Francesco Nazari Fusetti, amministratore delegato di CharityStars, piattaforma che ha ospitato numerose aste di oggetti o di esperienze. “La più famosa”, racconta, “ha riguardato un pranzo con Silvio Berlusconi acquistato a 87mila euro da una ragazza della provincia di Monza che aveva voluto fare un regalo alla madre”, racconta.
In pochi anni, Charity Stars ha raccolto 15 milioni di euro, con 20mila aste, supportando 500 associazioni. Ora Nazari Fusetti si prepara a rivoluzionare le charity. Perché non ha dubbi: “E’ fondamentale che scompaia la poca fiducia da parte dei donatori su come verranno utilizzati i fondi”. Ecco allora l’idea di Aidcoin, che per prima al mondo ha messo le associazioni benefiche all’interno della blockchain, in modo che “la tecnologia più incorruttibile mai creata dall’uomo possa diventare un bollino di trasparenza”. Il sistema di Aidcoin, che ha attirato in sede di Initial coin offering 16 milioni di dollari, servirà proprio a tracciare come vengono spesi soldi delle associazioni permettendo agli operatori in criptovalute di donare direttamente alle associazioni, tramite partnership con gli exchange”.
Esiste già anche una prima case history a cui Nazari Fusetti sta lavorando: “L’invio di aiuti in Africa nella forma di criptovalute, che verranno spese in loco e tracciate tramite la blockchain”.
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