Il 2022 del mercato cinese si apre con la più grande quotazione dell’ultimo decennio. China Mobile, il primo operatore telefonico al mondo per numero di abbonati, è sbarcato poche ore fa alla Borsa di Shanghai. La compagnia, di proprietà dello stato, ha raccolto 7,64 miliardi di dollari e, nel primo giorno di contrattazioni, ha registrato un rialzo del 9,4%.
Nel novembre 2020 Donald Trump, pochi giorni dopo essere stato sconfitto da Joe Biden alle elezioni presidenziali, aveva emesso un ordine esecutivo con cui vietava gli investimenti statunitensi in aziende controllate da Pechino. La linea di Washington, mantenuta anche dall’amministrazione Biden, ha portato al delisting – cioè alla cancellazione dal listino di Wall Street – di China Mobile e di altri due grandi gruppi cinesi delle telecomunicazioni: China Telecom, che si è quotata a Shanghai ad agosto e ha raccolto 7,3 miliardi di dollari, e China Unicom.
Alla vigilia della quotazione, China Mobile si è impegnata a riacquistare 2,05 miliardi di azioni, che corrispondono a circa 13 miliardi di dollari. Un piano che ha contribuito al rialzo del primo giorno di negoziazione.
La società ha fatto sapere anche che i miliardi raccolti tramite l’Ipo saranno utilizzati per investire in 5G, cloud e intelligenza artificiale.
Il ruolo del governo
Nina Xiang, autrice del libro US-China Tech War, ha dichiarato alla Bbc che i numeri dell’Ipo di China Mobile non devono sorprendere. Il governo di Xi Jinping, a suo giudizio, avrebbe fatto qualsiasi cosa, infatti, per garantire il buon esito dell’operazione.
“Per Pechino è importante che la quotazione appaia come un successo, in modo da dimostrare che la Cina ha i mezzi per accogliere le sue grandi società sul suo mercato azionario”, ha affermato Xiang. “In ogni caso, per le aziende cinesi perdere l’accesso al mercato statunitense dei capitali non è un fatto positivo. Anche perché si tratta di un altro passo nel deterioramento delle relazioni bilaterali”.
La battaglia Stati Uniti-Cina
Altre aziende cinesi, in effetti, sembrano intenzionate a seguire la stessa strada di China Mobile. Tra queste c’è Didi Global, l’Uber cinese, che a giugno è approdato a Wall Street con un’Ipo da 4,4 miliardi di dollari. Pochi giorni dopo, Pechino aveva annunciato una stretta sulle quotazioni delle grandi società cinesi all’estero. Da allora, Didi ha perso il 65% in Borsa e, a dicembre, ha annunciato di volere avviare il processo di delisting.
Poche settimane fa la Securities and exchange commission, ente statunitense analogo alla Consob italiana, ha finalizzato l’Holding foreign companies accountable act: un insieme di norme che permette ai regolatori di ordinare il delisting delle società straniere che non rispettano i requisiti di trasparenza. Un documento che, di fatto, riguarda proprio le aziende cinesi. Come ha spiegato La Stampa, Cina e Hong Kong sono infatti le uniche due giurisdizioni che non permettono agli Stati Uniti di compiere ispezioni sui libri contabili.
David Loevinger, dirigente della società di consulenza e asset management Twc Group, ha dichiarato alla Cnbc: “Per molte compagnie cinesi quotate negli Stati Uniti, di fatto, è game over”.
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