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La forza del numero: come i cambiamenti demografici stravolgeranno la politica internazionale

“La demografia è il destino”. Così il sociologo francese Auguste Comte rimarcava l’importanza dell’analisi delle tendenze demografiche per definire il futuro sviluppo di una comunità, un’economia o una nazione. Già nel 1991, nell’opera History of Contraception, lo storico canadese Angus McLaren applicava gli studi demografici per teorizzare come tra le cause del crollo dell’Impero Romano d’Occidente ci fosse stato il calo della natalità.

Oggi il tema del crollo delle nascite e della decrescita demografica è quanto mai attuale in Europa. L’Eurostat ha stimato che la popolazione dell’Unione europea, dopo avere raggiunto i 449 milioni nel 2025, si attesterà intorno ai 424 milioni nel 2070, con una percentuale di over 65 superiore al 30%. Questo calo interesserà l’intero continente, seppur in modo non omogeneo, e sarà dovuto soprattutto al crollo della natalità, vista la media europea di 1,55 figli per donna (l’Italia, fanalino di coda, è addirittura a 1,28). Molto lontana dai 2,1 figli che garantirebbero la stabilità della popolazione. Nei prossimi anni neanche l’immigrazione extra Ue riuscirà a invertire la tendenza.

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10,5 miliardi di persone sulla Terra

Il fenomeno non sarà lo stesso a livello globale. Nel 2070, secondo un rapporto delle Nazioni unite, gli abitanti del pianeta cresceranno dai 7,9 miliardi del 2020 a oltre 10,5 miliardi. L’Europa, che nel 1950 rappresentava il 12,9% della popolazione globale, peserà solo per il 3,7%. Le due super potenze, Stati Uniti e Cina, rappresenteranno rispettivamente il 3,9% e il 12%. La Cina perderà 181 milioni di abitanti, l’età media dei cittadini passerà da 38 a 49 anni e si allineerà a quella dei paesi europei. I responsabili della crescita demografica globale saranno l’India, che già nel 2023 supererà la Cina come paese più popoloso al mondo, e l’Africa, dove nel 2070 risiederà un quarto della popolazione mondiale.

Questi stravolgimenti demografici potrebbero segnare il destino di intere nazioni dal punto di vista economico e geopolitico. Potranno causare fenomeni, in parte già in atto, di migrazioni di massa tra Africa ed Europa, o accrescere conflitti e tensioni etniche all’interno dei singoli stati. In passato abbiamo già assistito a conflitti etnici esacerbati da pressioni demografiche, come nel caso dei Balcani. In Kosovo, nel 1961 la componente albanese di religione islamica rappresentava il 67% della popolazione. Grazie a un tasso di natalità tra i più alti d’Europa, 30 anni, dopo era al 90%, mentre serbi ortodossi si erano ridotti al 10%. Questo mutato equilibrio spinse la maggioranza albanese a rivendicare l’indipendenza dalla Serbia. L’opposizione dei nazionalisti serbi culminò in una sanguinosa guerra a fine anni ‘90, terminata solo con l’intervento militare della Nato.

Anche in Bosnia Erzegovina si verificò una situazione simile, con i bosniaci musulmani che passarono dal 23% al 44% della popolazione tra il 1961 e il 1991, mentre i serbi ortodossi videro il loro peso diminuire dal 43% al 31%. Il cambiamento nei rapporti numerici tra i gruppi etnici creò ulteriori tensioni da cui scaturì  una guerra, con la maggioranza musulmana che non voleva essere più assoggettata alle minoranze serbo-ortodossa e croata-cattolica.

Il caso Israele

Dalla crescita demografica, quindi, passa anche la sopravvivenza delle nazioni. Ne sanno qualcosa i governi israeliani che, dalla fondazione dello stato, sono sempre stati ossessionati dalla natalità come mezzo per garantire una superiorità nei confronti della popolazione palestinese. Nel tempo la natalità israeliana è cresciuta fino a raggiungere i 3,05 figli per donna: la stessa delle palestinesi, che invece, negli ultimi anni, hanno visto una tendenza decrescente.

Per gli israeliani riuscire a competere a livello demografico con i vicini paesi arabi e mantenere un’età media bassa è sempre stato un obiettivo di sicurezza nazionale. L’aumento delle nascite, che dal 1995 al 2015 sono salite del 65%, ha contribuito anche a far crescere il Pil di oltre il 900% in 30 anni. L’età media bassa ha reso Israele un paese molto dinamico, lo ha aiutato a diventare un polo per startup e aziende ad alto contenuto tecnologico.

Il cambiamento demografico in Italia

Anche uno studio della Banca d’Italia ribadisce che il contributo di una crescita demografica stabile allo sviluppo economico è rilevante. L’analisi indica che la decrescita demografica del nostro Paese porterà, da qui al 2061, a una diminuzione del 16% del Pil. Il calo potrà essere in parte compensato solo da un deciso aumento della produttività – circa lo 0,3% annuo – o dall’innalzamento dell’età della pensione – almeno fino a 69 anni – per tamponare la diminuzione della forza lavoro.

La “peste bianca”, come lo storico francese Pierre Chaunu definì la crisi demografica europea, potrebbe avere quindi pesanti ripercussioni economiche, con una contrazione permanente dei Pil. Demografia, economia e geopolitica sono, insomma, strettamente legate e si influenzano a vicenda. Nei prossimi anni, per analizzare le prospettive di crescita di una nazione, si dovrà guardare all’andamento delle nascite. Perché, come affermava un detto ebraico, “un bambino senza genitori è un orfano, ma una nazione senza figli è un popolo orfano”.

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