Lavorare sul brand e sui valori che è in grado di trasmettere per fidelizzare il cliente portandolo a riconoscersi in un mondo dove si sente a casa e di cui condivide il tutto. È la filosofia spesso alla base nella comunicazione di una marca: veicola costantemente e coerentemente emozioni, messaggi ed esperienze verso l’esterno per ottenere un ritorno. Ma c’è un’altra via che giunge allo stesso porto coinvolgendo anche i lavoratori dell’azienda.
“Dipendenti che conoscono e condividono pienamente i valori del brand andranno a realizzare un prodotto o un servizio che, inevitabilmente, comunicherà con ancora maggior efficacia il mondo intangibile della marca che si propone all’esterno”, spiega Cinzia Malerba, chief of strategy di CBA Italy, agenzia di branding del gruppo WPP, che ha indagato nello speciale progetto editoriale Employer Love Branding come alcune eccellenze italiane reagiscono alle attuali tendenze e al rischio di addio dei propri dipendenti, mettendo al centro il brand e i valori dell’impresa.
I meno “ingaggiati” d’Europa
La pietra sui cui poggia la ricerca è il rapido e continuo cambiamento del mondo del lavoro, tanto che quella attuale è definita come “era delle grandi dimissioni”: 1,66 milioni nei primi tre trimestri del 2022 per il Ministero del Lavoro, cioè il 22% in più rispetto al 2021. Quasi il 73% delle aziende italiane ha visto crescere, nell’ultimo anno, il tasso di turnover al proprio interno (Osservatorio PoliMi). L’Italia è il Paese europeo con la minore percentuale di lavoratori che si sentono ingaggiati dal proprio lavoro: solo il 4%. Fra le principali ragioni per cui lasciare il proprio impiego, i dati Hubspot 2023 indicano la mancanza di supporto da parte del management (21%) e l’insoddisfazione per la cultura aziendale (20%), accanto alla mancanza di opportunità di crescita e sviluppo professionale (19%).
La ricerca di CBA si concentra su casi studio in controtendenza. Ci sono esempi virtuosi di aziende, appartenenti a settori differenti e con storie diverse alle spalle, che hanno scelto un’altra via per contrastare problemi come il turnover. Cosa le accomuna? Ambire a essere employer love brand, ovvero rendere i propri dipendenti fan del proprio luogo di lavoro. CBA Italy ha indagato questa evoluzione incontrando decine di aziende che hanno percorso questa strada raccogliendo storie di founder, professionisti e manager orgogliosi della propria azienda. Tra i partecipanti ci sono realtà come Essity, E.ON, Lush, Bending Spoon, Cinelli, Talent Garden, Dude, Avanzi, Il Post, NEN e Serenis.
L’employer love brand
“Abbiamo esempi di aziende che sono vere e proprie community. Hanno un loro linguaggio, codici di comportamento e policy che rispecchiano i valori del brand. Da passioni e progetti personali che diventano nuovi prodotti, passando per rituali e momenti di aggregazione ‘brandizzati’, fino alla ‘unlimited learning policy’: i dipendenti possono richiedere qualsiasi materiale per formarsi, imparare e realizzare quindi il sogno del brand”.
“Lo stimolo di partenza è stato comprendere come elevare il ruolo del brand nell’engagement interno – prosegue Cinzia – e quanto essere employer love brand potesse portare vantaggi reali per l’impresa. Mentre incentivi, team building e welfare agiscono puntualmente, l’employer love brand lavora costantemente e più in profondità, generando valore duraturo per l’impresa. I collaboratori, stimolati e appassionati, si dimostrano partecipativi e proattivi, generando innovazione continua e rimanendo più a lungo. Le aspettative chiare e definite, derivanti da modalità di lavoro brand-driven, generano sicurezza ed efficacia nel lavoro quotidiano. Si crea un senso di appartenenza”.
“Un concetto che sembra scontato ma in realtà molto profondo e spesso confinato ai margini. Noi ci siamo chiesti: ma perché viene trattato così? In fondo il brand si rivolge ai consumatori, ma se riguardasse anche il proprio dipendente andrebbe a creare inevitabilmente una comunicazione più forte proprio nel porto finale, cioè il consumatore. La vision, la personalità di marca, il tono di voce sono importanti verso l’esterno tanto quanto verso l’interno”.
Valori, sogni, approcci e linguaggio
La ricerca sull’employer love branding si struttura in quattro punti. La coincidenza di valori in un ambiente orizzontale esalta la diversità: dalle interviste effettuate emerge che sentire vicini, propri, i valori del brand fa sì che – ad esempio – in fase di recruiting ci si scelga a vicenda. L’attitudine, la visione e le passioni sono maggiormente valorizzate rispetto alle competenze verticali, in un’inversione del tradizionale rapporto.
L’esistenza di un sogno comune stimola le persone nel volerlo realizzare: al suo interno il brand incoraggia l’intraprendenza alle idee dei singoli generando engagement e innovazione continua. Un approccio al lavoro codificato e identitario crea chiarezza e responsabilità: metodologie e comportamenti vicini all’identità di marca portano consapevolezza, creano ecosistemi sani e stimolanti, aiutano le persone del brand a evolvere e a trovare vie (magari inusuali) per valorizzare il proprio talento. Linguaggio, riti, luoghi ed esperienze creano spirito di appartenenza: le barriere, fisiche o gerarchiche, vengono meno e si stimolano inclusione, spirito di gruppo ed entusiasmo.
Speranze per il futuro
Cinzia Malerba infine sposta lo sguardo avanti: “Spero che pian piano si vada verso questo tipo di ambizione. Riprendendo il dato del 4%, si può affermare che l’Italia è il Paese europeo con la minore percentuale di lavoratori che si sentono ingaggiati dal proprio lavoro. È un dato piuttosto basso, però c’è la nuova imprenditoria e classe manageriale, quella sentita in questa ricerca, formata anche da GenZ e Millennial che ha invece una visione del brand come parte integrante dell’engagement interno e crede fortemente nella condivisione e messa in atto coerente e costante di visione e valori: la filosofia è continuare a scegliersi a vicenda”.
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