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Strategia

Le 4 parole che mandano a monte un affare

Le parole sono importanti.

Luigi Pirandello si chiedeva: “Come possiamo intenderci se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e il valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?”. In effetti le parole che scegliamo hanno un impatto preciso e profondo su chi ascolta, sui nostri collaboratori o, nel caso offriamo un servizio a pagamento, ai nostri clienti. Anche quando non ce ne accorgiamo, i termini che usiamo producono un risultato. Sta a noi decidere quale! Alzi la mano a chi piacerebbe trionfare in una trattativa d’affari semplicemente cambiando una parola durante la negoziazione. Facciamo solo qualche esempio.

«Sì»

Devi usarlo sempre in apertura di frase, quando cominci a parlare e, soprattutto, quando cominci a rispondere a una domanda o a un’obiezione del cliente. A prescindere da quello che dirai dopo, la prima parola deve essere questa. «Sì, ho capito». «Sì, mi è chiaro». «Sì, certo, ora ne parliamo». «Sì, sono d’accordo con lei». «Sì, ecco a lei».

«Scoperta»

È una parola che evoca meraviglia e il senso di qualcosa di speciale, in grado di cambiare la vita delle persone (come la scoperta del primo vaccino o della penicillina). Fa pensare a un segreto da condividere con le persone che più ci stanno a cuore, a laboratori all’avanguardia o anche, perché no, a una mappa del tesoro.

«Potente»

Una parola “forte”, fra le più dense dal punto di vista semantico, ovvero del significato. Ha una incredibile carica di suggestione.

«Tu»

Prima di aprire bocca, rifletti sul fatto che il tuo cliente mentre ti ascolta ha in testa una sola domanda: “Che cosa ci guadagno, io?”. Esiste un acronimo: WIIFM?, ovvero What’s In It For Me? («Che cosa c’è qui per me?»). Questa sigla dovrebbe essere il tuo perenne monito. Prima di cominciare una trattativa, chiediti «che cosa c’è qui dentro per il mio cliente?», perché questa domanda è precisamente la domanda che si porrà lui. Non hai idea di quanti grandi uomini di affari non rispettino questa semplice regola.

«Vantaggio»

Una parola grande persuasiva e, in genere, provoca grande attenzione nel cliente. C’è un’avvertenza: perché funzioni davvero bene, ricorda sempre di spiegare quali vantaggi otterrà il cliente nello specifico, invece di illustrare generici benefici che tutti potrebbero avere. Il tuo cliente, in quanto essere umano, è piuttosto egoista. Quindi, se parli di vantaggi ricorda che devono essere vantaggi specifici per lui.

Tra le parole che uccidono gli affari e che ti allontanano senza pietà dalla chiusura, viceversa, «bisogna» è sicuramente una delle più terribili. È una parola senza senso, priva di valore, debole. Soprattutto, è una parola che spinge le persone, te compreso, all’inazione, alla passività, allo star fermi. Se cominci una conversazione o una frase con «bisogna», stai certo che il tuo potere di convincimento crollerà. La tua campagna pubblicitaria non funziona? Possibile che il tuo slogan fosse qualcosa di simile a: “Se lo provi capirai il nostro valore”. Beh, in effetti hai buttato i tuoi soldi: non si apre mai una frase con il «se». Il messaggio che passa è che potremmo benissimo non provare il tuo prodotto. Il che può essere una strada, ma non suggerircela! Meglio: «Provalo e capirai il nostro valore».

Non sei un ladro. Dunque perché usare il verbo «rubare»? Se parlando con qualcuno cominci la tua conversazione dicendo che vuoi “rubare” tempo, attenzione o minuti preziosi, dichiari inconsciamente di essere tu per primo titubante circa l’utilità di quello che stai facendo o dicendo. «Scusi» è da usare solo se hai pestato un piede in ascensore. Alla Harvard Business School la prima lezione sulla negoziazione riguarda un concetto che si chiama parità negoziale e che prevede che tu, quando tratti con qualcuno, sia almeno alla pari dal punto di vista psicologico. Se vieni percepito come più debole, sei destinato a soccombere.

Il potere delle parole è conosciuto sin dall’antichità, quando le formule magiche e le maledizioni erano comuni per realizzare incantesimi o per scioglierli. E anche se oggi non crediamo nella magia, è ancora possibile riconoscere che le parole che usiamo hanno molte conseguenze, dato che c’è una stretta relazione tra pensiero, parola e azione.

Il nostro cervello non è capace di concepire la negazione «Non». Il cervello per negare qualcosa deve prima costruirla dentro di sé e poi dire che non esiste. Provate: «Non pensare all’elefante…». Ecco, ci hai pensato. È importante, quando costruiamo una frase, che al nostro interlocutore non arrivi ciò che non dovrebbe arrivare: «Non vorrei dirti una bugia, però è così». «Non sto dicendo di essere la persona più intelligente qui dentro»…

Il «Ma», da parte sua, cancella tutto quello che viene prima della frase. Se dico «Mi sei simpatica, ma non lavori molto bene», rimane in testa solo quello che viene dopo il “ma”. La frase andrebbe invece girata in: «Non lavori molto bene, ma mi sei simpatica» La prossima volta che fai un’osservazione a un tuo collaboratore pensa a cosa si ricorderà della tua frase. Tutto e solo quello che viene dopo il “ma”.

Freud aveva ragione: Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente.

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