Inclusività e sostenibilità sono i valori che contraddistinguono l’ambizioso progetto di Giovanni Nicolussi in via Pitentino 6a Bergamo e che prende il nome di Pit’sa. Sette ragazzi con sindrome di Down servono pizze realizzate con materie prime sostenibili e di origine vegetale, ottenute da agricoltura genuina e non da allevamenti intensivi.
Pit’sa: il coraggio di una vita ‘normale’
La parola coraggio può tradursi a volte in concetti non molto distanti dalla vita quotidiana e da azioni non necessariamente considerate eroiche. È così che ‘normalità’ è la prima parola che viene in mente a Giovanni Nicolussi e la moglie Valentina Giacomin, braccio destro del progetto, quando parliamo di scelte coraggiose e di percorsi intrapresi fuori dall’ordinario.
Questo è lo spirito con cui cerca, già da tre anni, di farsi strada nel mondo della ristorazione Pit’sa; portare normalità nella vita dei suoi ragazzi ricevendo in cambio il valore probabilmente più importante di tutti, la speranza di un futuro solido e di pari uguaglianza. E perché non farlo attraverso un alimento che, oggi più che mai, in Italia si fa portavoce di una cultura gastronomica unita e fortemente radicata nel territorio: la pizza. Arricchendola di un’ulteriore sfida, forse quella più insidiosa per i classicisti: traslarla nel mondo vegetale.
“La pizza è sempre stato il piatto preferito di mia madre e quando ci è sopraggiunta la notizia della sua malattia, probabilmente il desiderio di fermarla, mi ha portato ad avvicinarmi sempre di più all’alimentazione vegetale”, racconta Giovanni Nicolussi, founder del progetto. “Abbiamo insistito tanto per portare questo aspetto in Pit’sa coniugando parallelamente la volontà di sensibilizzare le persone sul tema della disabilità, avendo un fratello disabile. Dall’incontro con Martina Fuga di Coordown è venuta l’idea di dare ai ragazzi affetti da sindrome di Down la possibilità di riscattarsi e di mettersi alla prova attraverso una reale opportunità lavorativa”.
Un’opportunità pienamente supportata da CoorDown, un coordinamento nato nel 1987 con lo scopo di promuovere azioni di comunicazione condivise tra le diverse organizzazioni italiane impegnate nella tutela e nella promozione dei diritti delle persone con sindrome di Down. Con il programma Hiring Chain e una piattaforma online incentiva numerose assunzioni e tirocini per giovani e adulti con sindrome di Down in Italia e nel mondo. “Vado a lavoro da solo con il pullman e sono autonomo, mi cambio e mi piace servire in sala e ai tavoli dei clienti, mi sento responsabile della loro esperienza qui. Questo lavoro cambia la mia vita perché mi serve per crescere, per partecipare e conoscere le persone”, racconta Paolo, uno dei ragazzi coinvolti nel progetto di Pit’sa.
A conferma di una rivoluzione silenziosa che lentamente si fa strada in un settore complesso e competitivo come quello della ristorazione. E dimostrando che il cambiamento, quello in cui tutti confidiamo, può avvenire solo quando gli uni credono nella volontà degli altri, senza distinzioni. “La nostra è una pizzeria, ma anche una piccola rivoluzione. Si tratta di una storia un po’ fuori dalle righe, fatta di impasti leggerissimi, ingredienti genuini, condimenti creativi e un servizio insolito”, conclude Giovanni. Perché la squadra di Pit’sa è oltremodo esempio di perseveranza e determinazione.
Una margherita vegetale nel nome della sostenibilità
Le alternative vegetali stanno arrivando anche nelle pizzerie e Pit’sa ne fa un marchio distintivo. Il prodotto di punta del format è, infatti, realizzato e condito con ingredienti di origine vegetale. Uno su tutti è il formaggio fermentino a base di anacardi, 100% vegetale e plant-based, privo, quindi, di latte e derivati, che sostituisce la mozzarella rappresentando un’inedita alternativa vegana per chi ama la pizza, ma non vuole rinunciare alla sostenibilità. Inoltre, Tutte le pizze vengono realizzate con farina Antiqua Bongiovanni di tipo 1.
Solo due pizze in menù prevedono l’uso di latticini, ma anche in questo caso Pit’sa ha pensato a un’alternativa sana ed etica: si tratta, infatti, del formaggio strachi “quadro del Ferdy”, l’agriturismo della Val Brembana noto per la produzione di formaggi da latte di razze antiche, nello specifico da vacche Bruna Alpina Originale e le Capre Orobiche, lasciate pascolare liberamente in montagna e munte a mano. O ancora con il formaggio di Malga Telvagola, pascolo estivo di alta montagna situato tra il Passo Brocon e la Valmalene gestito da Irene Piazza, giovane casara specializzata in produzioni casearie di montagna a latte crudo.
Ancora una volta a sorprenderci è la forza di un progetto che mira a rendere la felicità una questione di gusto e semplicità. E se chiediamo a Giovanni di parlarci del futuro di Pit’sa, sentiamo già il profumo di un percorso in procinto di andare sempre più lontano.
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