Le attuali previsioni ci dicono che, globalmente, il settore dell’intelligenza artificiale applicata al marketing raggiungerà i 78,8 miliardi di dollari entro il 2030. Abbiamo chiesto a Ilaria Zampori, vp Italy & Spain di Quantcast, di spiegarci perché i marketer non possono permettersi di ignorare i vantaggi che questo tipo di tecnologie può offrire.
Da dove nasce l’infatuazione collettiva per l’IA?
Sebbene molti credano che l’intelligenza artificiale sia esplosa improvvisamente, è più antica di molte aziende che la utilizzano. Alan Turing, ad esempio, ne stava già esplorando le possibilità matematiche nel 1950, quando pubblicò Macchine calcolatrici e intelligenza. Tuttavia, è innegabile come il ritmo dell’evoluzione dell’IA sia aumentato rapidamente negli ultimi dieci anni, con una consapevolezza – anche tra le persone comuni – che ha raggiunto il massimo storico negli ultimi 12 mesi. Secondo un’indagine svolta a ottobre 2022 dall’Osservatorio IA del Politecnico di Milano con Bva-Doxa, oltre il 40% dei lavoratori italiani si dichiara favorevole all’introduzione di IA o robot in azienda, percentuale che arriva al 45% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni. Un sentiment positivo che trova conferma anche nelle evidenze di una ricerca di Goldman Sachs, secondo cui l’IA, come la maggior parte dei cicli di innovazione, potrebbe essere responsabile della creazione di nuovi posti di lavoro, di un aumento della produttività e di un incremento del 7% del valore totale annuo di beni e servizi. Ed è proprio su questi aspetti di un avvenire insieme all’IA che i marketer dovrebbero concentrarsi.
Quali sono i numeri dell’IA marketing?
Secondo il recente report rilasciato da Reportlinker.com, il settore globale del marketing basato sull’intelligenza artificiale varrà 78,8 miliardi di dollari entro il 2030. Una previsione che potrebbe destare preoccupazioni occupazionali nei marketer, ma non dovrebbe: la tecnologia è progettata per integrare la creatività umana e aumentare la produttività. Indipendentemente dal livello che si ricopre all’interno di un’agenzia di marketing, ci saranno senza dubbio alcune mansioni che, con i corretti input, potrebbero essere rapidamente padroneggiate dagli algoritmi di intelligenza artificiale. E non è affatto un aspetto negativo.
Un esempio?
C’è il programmatic advertising, ossia la compravendita automatizzata di spazi pubblicitari online. L’attuale complessità della gestione delle campagne secondo questa modalità non concede ai marketer il tempo per prendere in considerazione nuove strategie, anche se volessero farlo: la loro capacità di innovare è limitata dalla tecnologia comunemente utilizzata. Abilitando, però, l’intelligenza artificiale – ora in grado di dare un senso ai dati in tempo reale su larga scala, di trasformare i dati in previsioni e di ottimizzare in modo continuo e autonomo la pubblicità durante l’intera durata – i marketer avrebbero più energia e risorse, sia fisiche che mentali, per concentrarsi su altri elementi chiave della loro professione. Potrebbero dedicarsi alla realizzazione e alla valutazione di diversi piani, perfezionando o sperimentando nuovi messaggi e sfruttando gli strumenti avanzati a portata di mano per trasformare intuizioni in azione e innovazione. I marketer avrebbero, dunque, l’opportunità di focalizzarsi sulla creatività, sulla direzione strategica, sul new business, sull’aumento della redditività e sulla realizzazione di risultati misurabili.
Qual è la ricetta migliore per ottenere risultati positivi e durevoli con l’IA?
I risultati, in particolare nel programmatic advertising, dipendono dalla profondità della conoscenza del pubblico a cui si punta. Mentre gli approcci più tradizionali dipendono da stereotipi, come ad esempio la promozione di prodotti presumibilmente maschili durante i contenuti sportivi, e da cookie di terze parti ormai obsoleti, l’intelligenza artificiale consente ai marketer di comprendere il consumatore finale in tempo reale, spesso ampliando la reach attraverso una maggiore inclusione e migliorando le performance aziendali complessive. Inoltre, grazie alla capacità del machine learning di ottimizzare gli input ricevuti senza sosta, i marketer possono perfezionare kpi specifici come il roas (return on advertising spend), il cpa (cost per acquisition) o una qualsiasi combinazione di valori misurabili. Un’abilità fondamentale in un contesto che mette sempre più sotto pressione i budget di marketing.
Cosa significa oggi per un marketer dire no all’intelligenza artificiale?
Decidere di non avvalersi dell’IA per migliorare le campagne pubblicitarie, e di conseguenza le performance da esse generate, significa perdere preziosi insight, nuove audience e incrementi in produttività. Al contrario, chi, fin da ora, sceglie di affidarsi a soluzioni all’avanguardia guadagnerà un vantaggio competitivo sul lungo periodo. L’evoluzione che l’IA sta apportando al programmatic advertising, e più in generale al digital marketing, è ormai innegabile: provare anche solo a immaginare un domani in cui questa tecnologia non assumerà un ruolo fondamentale per l’avanzamento e il progresso dell’intero comparto pubblicitario non è più possibile. Ecco perché i marketer devono iniziare oggi a investire in innovazione per essere pronti ad abbracciare il futuro del settore.
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