Interpretazioni socio-psicologico-culturali a parte, la piaga della violenza sulle donne va affrontata anche in chiave di sistemi di sicurezza collettiva che il digitale contribuisce a rendere ancora più efficienti. La domanda è: come contrastare e prevenire la violenza sulle donne concretamente?
“La stessa sorveglianza va distinta in due strati”, è il parere di Marco Santarelli, ceo della piattaforma 000.it su Intelligence of Things che affronta il tema della sicurezza a 360°. “Il primo riguarda la vita privata. Dobbiamo imparare a non rendere pubblici i dettagli della nostra vita sui social, dobbiamo proteggerci dai cosiddetti Gafam (Google, Amazon, Facebook con i ‘derivati’ WhatsApp e Instagram) e quindi da chi ci profila. Il secondo è che la sorveglianza deve diventare un deterrente assoluto per la prevenzione. Quindi creare una sorta di battistrada di intelligence predittiva e monitorare anche le cose più inutili come gli oggetti quotidiani, gli spostamenti, proteggere, dalle metropolitane alle zone franche e così via”.
Il concetto di sicurezza partecipata
Più sorvegliati per essere più sicuri, insomma, in generale per tutti, in particolare per le donne. Ma come farlo senza sfociare in uno stato di polizia? La risposta c’è e si chiama sicurezza partecipata che deve coinvolgere l’intero sistema.
“Il concetto di violenza, soprattutto quello sulle donne – spiega il ceo di 000 – deve essere affrontato anche qui a due livelli: il primo, inasprire le pene anche per quelle che sembrano banali avvisaglie (stalking, persecuzione telefonica o con messaggi); il secondo, innalzare ogni tipo di violenza, quindi soprattutto quella femminile, a reato grave ed elevarlo al ‘rango’ dei cinque domini: aggiungere cioè ad aria, terra, mare, spazio e cibernetico, anche la violenza sulle donne. Questo permetterà di concentrare finanziamenti per forze dell’ordine e rafforzamento della difesa delle reti informative anonime. Vuol dire fornire assistenza a persone in difficoltà e associazioni private che potrebbero così contare su strumenti più adeguati per combattere questa nuova guerra”.
Indubbiamente la potenza della rete digitale in generale e la capacità di elaborare dati e proporre azioni di contrasto può essere una grande arma. Con tutte le cautele possibili per proteggere privacy e libertà personali.
“Un po’ spaventati dal ‘mostro tecnologico’ che abbiamo creato – dice Santarelli – dobbiamo porci il problema dei limiti che vogliamo ascrivere e dei sistemi di sicurezza che si possono attivare. Proprio il tema della sicurezza, dunque, è centrale e a più livelli: da quella personale a quella d’impresa alle infrastrutture critiche, tutti devono contribuire alla ‘difesa’”.
Un nuovo tipo di sicurezza
La piattaforma 000.it nasce per dare un indirizzo all’immaginario collettivo sulla necessità di assimilare il concetto della sicurezza nel rapporto fra persone e macchine. Variando sul tema Iot con la definizione Intelligence of Things che rappresenta il concept di partenza. Facciamo un esempio con l’aiuto di Marco Santarelli che ha coniato per primo il termine:
“Se cerchiamo un paio di scarpe sui social o sul web, rossa, verdi o gialle, questa informazione non è solo di tipo stilistico, ma può essere utilizzata per fare del bene, per esempio per fare un regalo, o del male, penso agli attacchi terroristici. Questo divario ha fatto sviluppare un nuovo tipo di sicurezza, definita sicurezza collettiva, cioè di interazione tra pubblico, privato e cittadino. Per esempio, i Servizi segreti ricorrono sempre più a cittadini insospettabili per raccogliere informazioni su grandi città e il concetto di sicurezza diventa circolare e riguarda anche, per esempio, la geopolitica o, come dicevamo prima, i cavi sottomarini. Quante barchette di pescatori sono nell’Oceano intorno a questi cavi? Moltissime e questo vuol dire che si inizia a collaborare anche con piccole imprese che danno informazioni alla Difesa nazionale e internazionale”.
Il contributo dell’intelligenza artificiale
A questo punto dobbiamo porci la domanda: dall’antivirus all’intelligenza artificiale. Le tecnologie a disposizione sono efficaci? E ancora: i rischi (gli attacchi) si evolvono e come tale anche la difesa deve aggiornarsi di continuo? E’ proprio l’intelligenza artificiale, grazie al deep learning, all’indicizzazione e al posizionamento dei gusti che abbiamo un contributo importante.
“Ma non è solo così. Oggi il monitoraggio degli attacchi cibernetici viene realizzato tramite tecniche di intelligence chiamate Osint, che sono strettamente collegate a tecniche ‘umane’, cioè la Humint. Le persone, infatti, sono ancora al centro di questi processi. Non dimentichiamo che la cibernetica nasce da questo concetto, quindi non senza l’aiuto di persone che hanno capacità di analisi. Oggi quando parliamo di guerra e difesa ibrida parliamo di questo. Non si deve tralasciare che i potenti del mondo si incontrano ancora oggi per parlare di questioni importanti”.
Il concetto di Intelligence of things introdotto da 000 parte proprio da questa nuova, originale, definizione, quindi la domanda delle cento pistole: come far diventare questo concetto di sicurezza? Come farlo penetrare nei tessuti sociali, nella testa delle persone e fare rete con i sistemi di difesa che sono in grado di intervenire anche nei piccoli fatti della vita di tutti ii giorni, dall’arte allo sport.
L’importanza della divulgazione
Bisogna far nascere una nuova consapevolezza su quello che vuol dire, come funziona e qual è il ruolo di tutti. Come? Attraverso la divulgazione, la diffusione della cultura della sicurezza grazie agli esperti. Per esempio, cos’è un Qr code? Dopo il Covid, tutti i menù hanno un Qr code, ma il cittadino quale interazione deve comprendere per capire come funziona? Oppure, quanti sapevano del microchip usato nei palloni durante i Mondiali di calcio? Come fanno i device a mostrarci prodotti o servizi che abbiamo solo pensato?
“Questo passaggio da un ecosistema chiuso a uno digitale è stato definito Internet of Things, che noi abbiamo trasformato in Intelligence of Things, in cui la parola intelligence deriva dal latino inter leggere, leggere tra, interpretare, spiegando che questa evoluzione è una deterrenza per la scurezza e indicando come difendersi. Ovviamente, è un progetto più generale, perché racconteremo anche come i servizi internazionali si muoveranno per capire come questo rapporto tra uomini e cose si sta evolvendo e anche quali sono i (forti) rischi”.
Ma per formare questo scudo, questa cultura della sicurezza (intelligence) diffusa, ci vogliono nuove competenze (quindi il ruolo dell’università), e anche nuove tecnologie. E le istituzioni, ancora, sono pronte a regolamentare efficacemente?
È un discorso spinoso che si articola in due canali a sé stanti: gli esperti fanno cose eccezionali, però non rientrano in nessuna categoria professionale inquadrata dalle istituzioni; nello stesso tempo, per questi motivi, è nata la figura dell’hacker bianco.
“In ambito cibernetico – spiega Marco Santarelli -, sono stati emessi dei documenti, leggi che regolano questo settore, come il Cybersecurity Act, le Direttive Nis 1 e 2, ma a livello di interventi pratici si va un po’ a rilento. Infatti, si parla di una riforma dell’intelligence italiana dal 2007 ma ancora non c’è una legge di aggiornamento. L’Acn, che si occupa proprio di reati informatici, invece, sta intervenendo velocemente sui disastri informatici. Non è poco”.
Protetti ma più controllati
Davanti a noi mondi ancora più eclatanti e sconvolgenti. Abbiamo letto di una città in Cina che ‘vive’ digitalmente fra computer (quasi) quantici e connessioni 5 o 6G. Nuovi mondi decisamente: più a rischio o più protetti? Dieci anni fa eravamo non protetti e sicuramente sorvegliati, oggi quando vediamo delle telecamere di sicurezza, per esempio in metropolitana, ci sentiamo più protetti. Siamo più protetti, ma paradossalmente più controllati.
“Come diceva Popper, se vogliamo più sicurezza, dobbiamo essere più controllati. Questa impennata tecnologica ci racconta di un uomo più controllato, come lo descrive Zuboff nel suo Il capitalismo della sorveglianza. Quindi, è un processo direttamente e inversamente proporzionale al cittadino. Come proteggerci? Avere più sorveglianza, vuol dire essere sotto controllo, quindi che ne sarà della società e del nostro giudizio critico?”.
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