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Strategia

Gender pay gap: Italia al quarto posto tra i divari più alti in Europa

Nonostante le donne abbiano fatto progressi in tema di partecipazione al mercato del lavoro negli ultimi trent’anni, la parità di genere in Italia è ancora molto lontana. Facendo un confronto con gli uomini, è come se le lavoratrici italiane iniziassero a percepire uno stipendio a partire da febbraio, pur lavorando regolarmente dal 1° gennaio.

Nella sfera lavorativa si evidenzia il cosiddetto gender pay gap, termine che indica la differenza media che sussiste tra i salari orari lordi percepiti dagli uomini e quelli delle donne. A rivelarlo è l’ultima analisi di Lhh, provider unico e globale di soluzioni Hr end-to-end, condotta insieme all’Osservatorio JobPricing e Idem | Mind The Gap: 

“ll gender gap deve essere considerato come un vero e proprio danno per la nostra società: la disuguaglianza è in primis un problema etico, ma non solo. Si tratta anche di un limite per la crescita economica. In questo senso, incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro risulta una linea di intervento urgente e necessaria”, commenta Luca Semeraro, ad di Lhh Italia e Spagna.

“Da un lato, è fondamentale mettere in atto politiche che supportino in maniera concreta le famiglie e le imprese e, dall’altro, coltivare la cultura della parità di genere nel mercato del lavoro e all’interno delle organizzazioni, oltre che nella sfera educativa, sociale e privata. Infatti, non possiamo mai dimenticare che le aziende sono composte da persone con un bagaglio culturale, che in primis ha radici nella formazione individuale e nelle relazioni sociali”.

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Gender gap lavorativo e pay gap

Nel 2022 l’occupazione femminile è tornata a crescere, superando il 51%, contro il 69% degli uomini. L’aumento del numero di donne entrate o rientrate a far parte nel mondo del lavoro è testimoniato anche dalla riduzione del tasso di disoccupazione, che si attesta al 9,5% per le donne e al 7% per gli uomini.

L’aumento della partecipazione economica delle donne al lavoro non risolve un gender gap evidente, in quanto le lavoratrici sono di meno, trovano meno lavoro e sono meno spinte a far parte della forza lavoro, oppure, scoraggiate dalla difficoltà a trovare un impiego, rinunciano a cercarlo più facilmente rispetto agli uomini.

Se si considera il livello di istruzione, sono principalmente le non laureate a scontare una minor presenza nel settore rispetto ai colleghi. Al contrario, le donne laureate con un’occupazione sono più degli uomini. Le discrepanze sono particolarmente evidenti quando si tratta di salario.

JobPricing ha registrato un pay gap di circa 2.700 euro lordi sulla Ral e di circa 3.000 euro sulla Rga. Considerando il gap dal 2014 a oggi, c’è stato un tendenziale miglioramento del differenziale retributivo, ma la situazione è ancora lontana dall’essere risolta.

Se si guarda al divario retributivo di genere complessivo (gender overall earnings gap), cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini, questo si stima per l’Italia al 43%, posizionando il Paese al quarto posto tra i divari più alti in Europa, dopo Paesi Bassi, Austria e Svizzera.

Gap nei percorsi di carriera

Per quanto riguarda gli incarichi esecutivi, la situazione non è cambiata nel corso dell’ultimo decennio. Dall’indagine svolta, emerge una minoranza di donne nei ruoli dirigenziali e quadri. La disparità risulta più evidente nel settore privato (dirigenti: 83% uomini, 17% donne; quadri: 69% uomini, 31% donne), mentre, se si guarda il dato del mercato nel suo complesso, la situazione risulta migliore (dirigenti: 67% uomini, 33% donne; quadri: 55% uomini, 45% donne).

Nell’ambito del privato, le funzioni che contano più donne manager sono auditing, compliance e risk management (donne dirigenti: 2,2% e quadri 27,3%), legale (donne dirigenti: 1,8% e 11,8% quadri), area tecnica & ricerca e sviluppo (donne dirigenti: 0,9% e quadri 10,6%).

E ancora risorse umane e organizzazione (donne dirigenti: 1,4% e 9,8% quadri), marketing e comunicazione (donne dirigenti: 1,1% e quadri 9,6%). Tra le società quotate, le ad rappresentano solo il 2% del totale (3,3% nel 2013) e soltanto il 3,8% di chi ricopre il ruolo di presidente del Consiglio di Amministrazione (2,9% nel 2013).

Gli ostacoli all’affermazione e la crescita delle donne nel mercato del lavoro

Fenomeni come il soffitto di cristallo, cioè la fattiva difficoltà nell’accesso a un pieno sviluppo di carriera fino all’apice, o del pavimento appiccicoso, ovvero la lunga permanenza nei ruoli più bassi delle organizzazioni, impediscono alle donne di arrivare sia nelle posizioni importanti delle organizzazioni, sia in quelle minori.

Come evidenziano alcuni studi, le organizzazioni più inclusive con a capo dirigenti donne ottengono migliori risultati nella valorizzazione dei talenti, consolidando la reputazione e la responsabilità di impresa, che risultano più innovative e registrano miglioramenti delle performance finanziarie.

Al contrario, le disuguaglianze di genere portano a una mancata crescita e in una riduzione del valore per gli azionisti, esattamente come un Paese perde in innovazione, crescita e competitività.

Il segmento di mercato monitorato da JobPricing esclude gli amministratori delegati e i dirigenti con responsabilità strategiche, cioè coloro che guadagnano gli stipendi più alti. E’ in questa fetta di mercato che il differenziale salariale cresce esponenzialmente.

I gap più alti si osservano tra chi ricopre il ruolo di presidente del CdA senza ricoprire altre cariche e tra i consiglieri esecutivi. Se poi si guardano le prime 100 posizioni della classifica (stilata da Consob) di ad e dirigenti, bisogna scorrere lo sguardo fino a quota 66 per trovare una figura femminile, per un totale di 3 donne che compaiono tra le 100 figure più remunerate delle società quotate.

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