Articolo tratto dal numero di febbraio 2024 di Forbes Italia. Abbonati!
È un distretto da primati e miracoli quello del vetro di Murano, una fabbrica galleggiante con 1.242 addetti impegnati in 151 realtà produttive, di cui 64 fornaci e 87 aziende di seconda lavorazione (vetro a lume, vetro fusione, specchi, molatura, decorazione). Questi i dati riferiti da Promovetro, il consorzio nato per valorizzare l’immagine e la corretta commercializzazione del vetro artistico di Murano. Nel 2001 la Regione Veneto ha affidato a Promovetro la gestione del Marchio Vetro Artistico Murano, azione necessaria considerato che l’80% dei manufatti in vetro dei negozi veneziani non è realizzato a Murano. La concorrenza sleale impera. In un’isola di 4.500 anime, i numeri del distretto restano importanti, ma lontani da quelli del secolo scorso, e trattandosi di realtà energivore, i rincari degli ultimi tempi hanno messo a dura prova il settore. La selezione darwiniana del mercato è in corso.
È dal 1291, quando un decreto della Repubblica di Venezia ordinò il trasferimento di tutte le fornaci a Murano, che qui si cresce a pane e vetro. Si è assistito a un continuo fiorire di botteghe, nel Medioevo dedite a creare oggetti di uso comune, quindi suppellettili di lusso. Storia fatta di saperi che si sedimentano, l’artigianato che si combina con la scienza e l’arte, scoperte rivoluzionarie come quella di Angelo Barovier (1405-1460), capace di ottenere un vetro trasparente: il cristallo veneziano, la gran novità del settore. E ancora, il maestro Giuseppe Briati inventava i lampadari a più bracci di cristallo, decorati da festoni, foglie e fiori policromi. Fra gli esemplari, quello al museo di Ca’ Rezzonico, a Venezia. Uno scrigno di saperi secolari che l’oligarchica Serenissima sempre protesse: la categoria dei maestri vetrai di Murano godeva di immunità e incentivi speciali, concessi perché nessuno lasciasse l’isola, con il rischio di diffondere i segreti di bottega. In caso contrario: pena di morte.
Le crisi e le rinascite del distretto del vetro
Sorto in anticipo su tante forme diffuse solo con la rivoluzione industriale, il distretto ha conosciuto e superato diverse crisi. Sul finire del Seicento faceva la sua comparsa, spopolando tra i nobili, il cristallo lavorato a freddo dalla Boemia. E ancora, quando con il trattato di Campoformio (1797) Napoleone cedette la Serenissima agli Asburgo, questi fecero di tutto per favorire il cristallo boemo declassando il vetro di Murano. Di nuovo, l’isolotto rinasceva rispolverando antiche tecniche e creando nuove forme. Lo si deve soprattutto ad aziende come la F.lli Toso, specializzata in vetri a uso antico, o la Salviati & C., che puntò al mercato estero, inglese in primis, anche capitalizzando la leva delle esposizioni mondiali. Con il Novecento l’artigianato si saldava con l’arte e il design, vedasi le ciotole art nouveau di Vittorio Toso Borella o le lastrine alla Klimt in vetro mosaico di Vittorio Zecchin.
Oggi i numeri di imprese e addetti decrescono. Aziende familiari si spengono per mancanza di successione, la committenza cambia, sono richiesti anzitutto pezzi d’arte, unici ed esclusivi, e non tutte le imprese colgono le nuove istanze. C’è chi muore e chi prospera. Ci focalizziamo sul secondo caso, e in particolare su due storie di successo esemplificative di quel che possono fare un colosso e una micro-impresa. Il colosso è Barovier&Toso, classe 1295, attivo nel settore dell’illuminazione decorativa in vetro, acquisito nel 2015 da Rinaldo Invernizzi, presidente e co-direttore, un passato nella finanza e ora artista. Una delle leve del rilancio sta nel 15% dei ricavi – osserva il cco Diego Martinez Dubosc – destinato alla ricerca e sviluppo, “per individuare nuovi materiali e combinazioni di colori in linea con le nuove esigenze. Gli stampi in legno, per esempio, sono stati soppiantati dalla stampa 3D”. Innovazione, ma anche cambio di passo nella comunicazione, a partire dalle vetrine delle boutique: vere installazioni d’arte, vedasi la veneziana a un soffio dalle Gallerie Contini, che invita a varcare la soglia (e acquistare?). L’esito è un fatturato raddoppiato in meno di un decennio, ora pari a 20 milioni.
Comunicare il valore
Sul pregio dei manufatti di Murano, nulla da eccepire. Però, in tempi di mercati globali che impiegano processi più automatizzati e spesso manodopera meno specializzata, il valore va comunicato per bene. “La mancanza di un adeguato sforzo di marketing ha impedito ad alcune imprese di capitalizzare appieno i propri elementi distintivi”, spiega Daniela Sarracco, nel management di Barovier&Toso. “La concorrenza richiede non solo prodotti di alta qualità, ma anche una narrazione accattivante, che possa trasmettere il valore intrinseco dei manufatti. Vanno adottati nuovi approcci di marketing”.
In tal senso, la sfida è stata raccolta da Alberto Striulli, il maestro dei bicchieri, arte che si estende a lampadari e oggettistica. Un esempio di che cosa può realizzare una microazienda di quattro persone come quella che Striulli ha fondato nel 1991. “Il punto di forza”, spiega, “sta nella manodopera. Il cliente può avere un contatto diretto con me, ovvero il maestro, e assieme possiamo realizzare pezzi unici, su misura. Credo che la chiave del successo delle aziende che resistono alle sfide dei tempi risieda nella combinazione di design e alto artigianato, mantenendo intatta la tradizione e, soprattutto, la fruibilità del prodotto finito, da viversi come pezzo unico. Siamo depositari di un’arte che va protetta e tramandata. Siamo artigiani, non imprenditori, e il rapporto tra il creatore e la sua creatura non è semplice. Occorre saper trasformare la propria idea in azione: un soffio di vita per trasmettere al mondo l’insostenibile e travolgente leggerezza del vetro”, dice. E così nascono i bicchieri esagonali Striulli, dai bordi colorati, allegri ma sofisticati. Assai lagunari.
I maestri del vetro
• iDogi
Brillano luci italiane nel palazzo londinese da cui Churchill pronunciò il discorso di uscita dal tunnel della guerra. Sono quelle dello chandelier Meridies, un’opera da 96 luci, oltre tremila elementi in cristallo soffiato e lavorato a mano, alto più di otto metri e dal diametro di 2,3. È stato forgiato nella fornace di iDogi, azienda fondata nel 1968 da Francesca Macor Caminiti e oggi presieduta da Domenico Caminiti. Per il Salone del Mobile del 2019 l’azienda ha presentato una creazione spettacolare: la Fontana del Palazzo Reale, un sistema di giochi di luce e getti d’acqua, con apice nel tempio centrale. Virtuosismi che viaggiano nel mondo, soprattutto mediorientale, e hanno stregato l’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani, che ha voluto manufatti di iDogi nella villa di rappresentanza.
• NasonMoretti
NasonMoretti ha 101 anni e un patrimonio di oltre 25mila modelli, anche vincitori del Compasso d’Oro, come nel caso della collezione Lidia e della lampada da tavolo 1923. “In una manifattura lenta come la nostra, le persone guidano tutte le fasi di realizzazione del prodotto”, racconta Giorgio Nason. “I vetri passano ancora di mano in mano, dalla preparazione delle miscele alla lavorazione a caldo, fino a tempra, taglio, molatura e finitura. Ogni gesto è necessario e frutto di un’esperienza per cui la qualità è figlia del tempo”.
• Venini
Venini, il gigante che ha per icona il vaso Veronese, oltrepassa il secolo di storia. I fondatori – Paolo Venini e l’antiquario Giacomo Cappellin – chiarirono subito la rotta dell’impresa, assoldando come direttore artistico Vittorio Zecchin. Negli ultimi tempi il marchio è stato più volte ceduto, ma dal 2016 è saldo nella galassia Damiani, cosa che fa ben sperare.
• Salviati
È intrigante la storia della Salviati, fondata nel 1859 da un avvocato vicentino. Marchio siglato dalle partecipazioni a esposizioni, in testa le Biennali Veneziane, e dalla conquista del Compasso d’Oro, l’Oscar del design. Poi è stata la volta di passaggi di mano, anche straniera, fino al 2015, quando la proprietà è tornata a essere veneziana. Opere firmate Salviati sono esposte nei musei di tutto il mondo, Moma compreso.
• Fornace Mian
Lanciata nel 1962, ha un organico di 85 persone che operano in 10mila metri quadrati, tra fornace (con 26 forni), moleria, magazzini, sale espositive e uffici. Da 20 anni ha consolidato la collaborazione con designer, artisti e stilisti, che lavorano in particolare al marchio aziendale Vivarini.
• Vetrate Artistiche Murano
Fondata nel 1984, è specializzata nella produzione e nel restauro di vetrate tradizionali veneziane. Ha condotto interventi nella chiesa del Redentore, nella basilica di Santa Maria della Salute, nel Palazzo Ducale e nella Biblioteca Marciana. Stefano Bullo si è inserito fin da ragazzo nell’attività di famiglia, disegnando i progetti per le vetrate. Quindi, forte di studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 2014 ha rilevato l’attività.
• Aav Barbini
Gli specchi della famiglia Barbini hanno una diffusione globale: dall’India alla Thailandia, dove arredano il Palazzo Reale, fino al Giappone, dove negli anni Settanta ebbero un’enorme popolarità. Il laboratorio venne fondato nel 1927 da Nicolò Barbini, specializzato nell’arte dell’incisione su vetro e nella produzione di specchi veneziani antichi e moderni. Perizia trasmessa ai figli e ai nipoti. Siamo infatti alla terza generazione.
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